“Libertà non è avere la possibilità di esprimere un concetto, ma essere messi nelle condizioni di costruire il proprio pensiero, senza doverlo prendere in prestito da qualcuno”.
Questo è esattamente ciò che è successo nella settimana trascorsa a Reggio Calabria. Abbiamo incontrato volontari impegnati nell’accoglienza, mediatori culturali, senzatetto, il medico degli sbarchi
La verità non si trova sui giornali, sui social o alla televisione. La verità è quella che siamo andati a cercare percorrendo 1.000 km in treno, che abbiamo visto con i nostri occhi e ascoltato con le nostre orecchie.
Abbiamo capito che sul fenomeno migratorio speculano e guadagnano i trafficanti di essere umani, gli schiavisti, i mercanti di organi, le polizie di frontiera, la guardia costiera libica e gli scafisti.
Abbiamo inteso che a questa rete criminale non interessa minimamente se i porti sono chiusi o aperti, perché il loro compito si conclude a 12 miglia nautiche dalle coste libiche, in acque internazionali. A loro interessa solo che i soldi dei migranti continuino a fluire nelle loro tasche.
Cosa accade oggi in quella zona di mare maledetta, nessuno lo sa.
Abbiamo osservato con i nostri occhi mutilazioni e ferite raccapriccianti e irriferibili, segni di torture subite nei paesi di origine, lungo il tragitto, nei campi di concentramento libici.
Abbiamo scoperto che nel 2019 a Sabrata, in Libia, esiste un mercato degli schiavi.
Abbiamo seguito un cammino lungo 4.000 km attraverso il Sahara disseminato di cadaveri e fosse comuni.
Abbiamo imparato che anni fa i migranti arrivavano su grandi barconi, mentre oggi arrivano sulle nostre spiagge su piccoli battelli. “Sbarchi anomali” li chiamano. Sono i più pericolosi. Oggi si muore annegati a 50 metri dalla spiaggia.
Abbiamo compreso che la povertà di queste persone e quella degli italiani non possono essere messe sullo stesso piano. In Italia nessuno viene evirato perché sorpreso a baciare in pubblico la propria fidanzata, nessun genitore deve decidere a quali figli dare da mangiare, nessun adolescente viene indotto ad attraversare il deserto e il mare per cercare le risorse che gli permettano di mantenere la propria famiglia.
Ci è stato riferito che gli eritrei li riconosci subito all’arrivo: sono quelli che pesano 35 kg. Parlano il tigrino, una lingua che nessun altro conosce, e ciò li emargina dagli altri migranti. Sono i più poveri e quindi quelli che possono pagare meno. Per questo vengono stipati nelle stive delle navi. Sono i primi ad annegare quando l’imbarcazione si capovolge e quelli che arrivano sono ustionati in tutto il corpo dagli schizzi dei motori e dalla miscela di acqua salata e gasolio.
Abbiamo capito perché ai migranti, prima di salire sulle barche, vengono tolte le scarpe. In questo modo si risparmia peso, si possono imbarcare più persone e guadagnare più soldi.
Abbiamo capito che i corridoi umanitari sono uno strumento importante che andrebbe potenziato perchè numericamente rappresentano
Questo è esattamente ciò che è successo nella settimana trascorsa a Reggio Calabria. Abbiamo incontrato volontari impegnati nell’accoglienza, mediatori culturali, senzatetto, il medico degli sbarchi
La verità non si trova sui giornali, sui social o alla televisione. La verità è quella che siamo andati a cercare percorrendo 1.000 km in treno, che abbiamo visto con i nostri occhi e ascoltato con le nostre orecchie.
Abbiamo capito che sul fenomeno migratorio speculano e guadagnano i trafficanti di essere umani, gli schiavisti, i mercanti di organi, le polizie di frontiera, la guardia costiera libica e gli scafisti.
Abbiamo inteso che a questa rete criminale non interessa minimamente se i porti sono chiusi o aperti, perché il loro compito si conclude a 12 miglia nautiche dalle coste libiche, in acque internazionali. A loro interessa solo che i soldi dei migranti continuino a fluire nelle loro tasche.
Cosa accade oggi in quella zona di mare maledetta, nessuno lo sa.
Abbiamo osservato con i nostri occhi mutilazioni e ferite raccapriccianti e irriferibili, segni di torture subite nei paesi di origine, lungo il tragitto, nei campi di concentramento libici.
Abbiamo scoperto che nel 2019 a Sabrata, in Libia, esiste un mercato degli schiavi.
Abbiamo seguito un cammino lungo 4.000 km attraverso il Sahara disseminato di cadaveri e fosse comuni.
Abbiamo imparato che anni fa i migranti arrivavano su grandi barconi, mentre oggi arrivano sulle nostre spiagge su piccoli battelli. “Sbarchi anomali” li chiamano. Sono i più pericolosi. Oggi si muore annegati a 50 metri dalla spiaggia.
Abbiamo compreso che la povertà di queste persone e quella degli italiani non possono essere messe sullo stesso piano. In Italia nessuno viene evirato perché sorpreso a baciare in pubblico la propria fidanzata, nessun genitore deve decidere a quali figli dare da mangiare, nessun adolescente viene indotto ad attraversare il deserto e il mare per cercare le risorse che gli permettano di mantenere la propria famiglia.
Ci è stato riferito che gli eritrei li riconosci subito all’arrivo: sono quelli che pesano 35 kg. Parlano il tigrino, una lingua che nessun altro conosce, e ciò li emargina dagli altri migranti. Sono i più poveri e quindi quelli che possono pagare meno. Per questo vengono stipati nelle stive delle navi. Sono i primi ad annegare quando l’imbarcazione si capovolge e quelli che arrivano sono ustionati in tutto il corpo dagli schizzi dei motori e dalla miscela di acqua salata e gasolio.
Abbiamo capito perché ai migranti, prima di salire sulle barche, vengono tolte le scarpe. In questo modo si risparmia peso, si possono imbarcare più persone e guadagnare più soldi.
Abbiamo capito che i corridoi umanitari sono uno strumento importante che andrebbe potenziato perchè numericamente rappresentano
una goccia nell’oceano del bisogno di chi fugge dalla violenza e dalla fame.
Abbiamo ascoltato con vergogna che anche in Italia c’è chi si approfitta dei migranti per guadagnare ai danni dello stato e dei cittadini italiani.
Abbiamo incontrato persone straordinarie che si prendono cure di tanti italiani poveri e senzatetto, e con la stessa umanità salvano ed accolgono tanti poveri di altri paesi. Queste persone dedicano la loro vita a chi si trova nel bisogno e non guardano al passaporto per prestare la loro opera. Si tratta di gente del sud, che spesso si prodiga nella totale gratuità, incurante dei pregiudizi che il ricco nord trasuda anche nei suoi confronti.
Ora sappiamo che la verità, una volta conquistata, va difesa mettendoci la faccia e scegliendo pubblicamente da che parte stare.
“Una cosa è certa. Questi fatti tra trent’anni finiranno nei libri di storia e i tuoi figli, venendone a conoscenza, ti chiederanno: -Tu c’eri. Che cosa hai fatto?-”.
Abbiamo scoperto che la marina italiana è un corpo militare di cui tutti dovremmo andare fieri per la sua efficienza, professionalità e soprattutto per la sua umanità.Abbiamo ascoltato con vergogna che anche in Italia c’è chi si approfitta dei migranti per guadagnare ai danni dello stato e dei cittadini italiani.
Abbiamo incontrato persone straordinarie che si prendono cure di tanti italiani poveri e senzatetto, e con la stessa umanità salvano ed accolgono tanti poveri di altri paesi. Queste persone dedicano la loro vita a chi si trova nel bisogno e non guardano al passaporto per prestare la loro opera. Si tratta di gente del sud, che spesso si prodiga nella totale gratuità, incurante dei pregiudizi che il ricco nord trasuda anche nei suoi confronti.
Ora sappiamo che la verità, una volta conquistata, va difesa mettendoci la faccia e scegliendo pubblicamente da che parte stare.
“Una cosa è certa. Questi fatti tra trent’anni finiranno nei libri di storia e i tuoi figli, venendone a conoscenza, ti chiederanno: -Tu c’eri. Che cosa hai fatto?-”.
della Calabria, migranti e profughi. Infine abbiamo costruito il nostro pensiero.
(Le frasi virgolettate sono state pronunciate dal dott. Enzo Romeo, uno dei 15 medici italiani autorizzati a condurre le operazioni sanitarie durante le fasi di sbarco. Uno che ha partecipato a 210 sbarchi e visitato, soccorso, curato e parlato con 108.000 profughi e migranti. Un’altra persona della quale noi italiani dovremmo andare fieri).
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