“Dio creò il deserto perché gli uomini potessero conoscere la loro anima
(proverbio Tuareg)
L’avevo
promesso a me stesso: la prossima volta che fossi venuto a Wajir mi sarei
concesso un periodo di deserto all’interno dell’eremo che Annalena (lei lo
chiamava “eremitaggio”) aveva costruito. Eccomi qua, sulla cima della torre. Il
clima è fantastico, imprevedibilmente arieggiato e piacevole, lontano dal
riverbero della sabbia incandescente. C’è silenzio, sento solamente i suoni
della natura fino a quando i muezzin decidono che è giunta l’ora di richiamare
i fedeli alla preghiera. All’esterno delle mura dell’enorme terreno assegnato
al Rehab è sorta una città. All’interno c’è
qualche piccolo edificio ma il
paesaggio è lo stesso bush selvaggio che vedeva Annalena 43 anni fa, quando
costruì l’eremitaggio. Sono sbalordito dalla quantità di uccelli che mi
circondano: storni blu, buceri, turachi, colombi, tessitori, ibis, marabù. L’incontro
più incredibile è però un nibbio dal becco giallo che mi rimane accanto, appollaiato sulla cima
dell’acacia del cortile dell’eremitaggio, per quasi un’ora. Rimane immobile ma
attentaofino al momento in cui decolla planando sotto di me. Mi sento un
privilegiato e sento il cuore galleggiare. Ho portato con me la raccolta delle
lettere di Annalena (Lettere dal Kenya – 1969-1985). Rileggo le parti che
riguardano l’eremitaggio, ed ora assumono un significato ed un valore che mi
sovrasta e mi commuove…
13
aprile 1970
In
Africa o si è contemplativi o si fallisce tutto e chi ci rimette sono sempre
loro: i poveri. Qui non c’è nessuno o quasi nessuno in grado o disposto a darti
quell’ossigeno spirituale senza il quale
l’anima è in continuo pericolo di
asfissia. Per questo costruiremo presto il nostro eremitaggio per la nostra
giornata di “deserto” settimanale, per quello più lungo annuale e per offrire
silenzio, solitudine, pace a tutti quelli che vorranno venirci, i bianchi
naturalmente, perché sono loro ad averne bisogno.
8
febbraio 1975
Naturalmente
nell’eremitaggio non metteremo mai né luce né acqua. L’acqua l’attingeremo a
mano dal pozzo e la luce dal fondo dell’anima… poi ho comprato del ferro di
scarto, meglio del ferro vecchio per farne una specie di pioli incassati in un
angolo del muro della cappella per salire fino alla cima della torre. Forse non
vi ho ancora spiegato che la cappella dell’eremitaggio l’ho ideata come una
torre tutta vuota dentro fino al tetto. Alla sommità intendo lasciare solo
quattro colonnine agli angoli e il resto tutto aperto per permettere di
spaziare liberamente sull’orizzonte, per cui ho ideato una specie di scaletta
incassata nel muro per salire fino in cima alla torre.
10
febbraio 1975
Il
pozzo tende verso il centro, gli alberelli vagheggianti, è un sogno un balsamo
per il cuore andare
laggiù anche quando il sole è implacabile. Prendimi alla
lettera… uno starebbe sempre là. Già il cuore sperimenta una pace, una
dolcezza, una serenità insondabili. E’ una condizione di riposo dell’anima, un
allentamento dolce, senza scosse, di tensioni radicate nel profondo, uno stato
di fiducia senza tremiti, senza bui, senza debolezze, proprio come un bimbo sul
seno della sua mamma.
14
ottobre 1975
La
gioia di poter dare a un altro, a un pellegrino dell’Assoluto come noi, a tanti
e poi tanti che verranno alla ricerca di silenzio, assetati di Dio… la gioia di
poter dare, dicevo, di poter offrire il nostro eremitaggio unico al mondo, è
talmente “divina” che sarei pronta a costruirne un altro per noi pur di poter
costantemente offrire il nostro a chiunque volesse venirci a fare un’esperienza
di “deserto”.
5
novembre 1982
Stesa
sulla stuoia in cappella nel vuoto alto e austero della torre, contemplavo le
meraviglie di Dio… non è possibile che esista un altro luogo al mondo come il
nostro eremitaggio. Come ho potuto pensarlo così profondamente mistico, sobrio,
austero, gli alberi di spine verdissimi pieni di uccelli da favola, il pozzo
della samaritana, l’acqua della vita, il cielo da ogni lato, il muro altissimo
che esclude e spalanca su orizzonti infiniti…
Mi
sono persa nell’ascolto del vento, dei canti degli uccelli, delle imposte che
sbattono leggermente… mi sono persa nell’incanto delle rose del deserto che mi
sorridono brillanti qui appena fuori dalla porta, dalle finestrelle ricamate,
di queste mura rosa che sanno di pace e di antico. Tutto amo qui: gli alberi di
spine, il pozzo rotondo col ferro ritorto e la carrucola e le parole scritte
tanti anni fa e ormai sbiadite: “la mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente,
quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. La torre cava e quei pioli conficcati
nel muro con quella salita un po' ardua a significare che non si entra se non
per la porta stretta, non si cammina verso Dio, ma ci si inerpica e il respiro
deve farsi faticoso e il cuore deve tremare perché Lui è santo e poi perché
l’attesa di ogni incontro d’amore fa tremare il cuore.
3 commenti:
Semplicemente GRAZIE ... o come ci avete insegnato questa estate: ASANTE
Sono commossa. A presto farò un viaggio in Marocco X dormire sotto il. Cielo stellato e leggendo e. Sfogliando.. Internet mi sono imbattuta qui. Nn ho parole respiro profondamente.. Cercherò al più presto di visitare questo luogo insh Allah grazie
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