“Attenti
al Rinoceronte” è una carrellata di incontri con rappresentanti celebri e meno
noti dell’universo animale africano. L’autore ripercorre gli eventi più curiosi
avvenuti nel corso di vent’anni di viaggi in Madagascar, Tanzania, Kenya,
Zambia, Congo e Rwanda.
I
protagonisti sono gli animali più disparati: dalle piccole termiti ai
giganteschi elefanti, dalle megattere dei mari del Madagascar ai gorilla delle
foreste montane del Congo, dai timidi lemuri ad uno scontroso rinoceronte.
Ogni
episodio diventa il punto di partenza per raccontare gli aspetti meno
conosciuti ed affascinanti di queste creature: le loro abitudini, la loro
dieta, la loro società, il loro habitat.
La
riflessione poi si allarga alla posizione che gli animali occupano nel loro
contesto naturale ed alla seria minaccia che grava su tutti gli ecosistemi
trattati: mari, foreste, deserti e savane. La conservazione della varietà
vegetale e animale degli ambienti naturali è la grande sfida che dominerà
Questa
storia mi è stata raccontata dal vescovo di Garissa, mons. Joseph Alessandro.
Il
28 marzo 2013 Papa Francesco dice queste parole ai sacerdoti di Roma: «Questo
vi chiedo: di essere pastori con “l'odore delle pecore”, pastori in mezzo al
proprio gregge, e pescatori di uomini».
Maralal
è una cittadina situata nella parte settentrionale del Kenya e come tutta la
regione è abitata prevalentemente da comunità di pastori nomadi delle etnie Samburu,
Turkana, Rendille, Gabbra, Borana, ecc.
Il
vescovo di Maralal si chiama Virgilio Pante, e come segnale di vicinanza alla
sua gente si è fatto fabbricare la mitra da Lydia Letipila, una vecchia signora
samburu di Baragoi. La signora Lydia la compone con i tipici materiali Samburu:
pelle e perline.
Il
16 aprile 2015, durante la visita dei vescovi del Kenya a Roma, mons. Pante
offre la sua mitra a Papa Francesco e memore delle sue parole di due anni prima
gli dice: “ti offro la mia mitra, ti ho preso in parola ed è impregnata dell’odore
delle pecore”
Il
Papa, da buon intenditore, l’annusa ed esclama: "Questa non è pecora, ma
capra!".
Era
veramente pelle di capra.
"E'
vero - ha risposto mons. Pante - ma anche le capre sono parte del gregge".
Dal
25 al 27 novembre 2015 Papa Francesco visita il Kenya. Il 26 novembre celebra
la messa al campus di Nairobi. Durante la cerimonia Francesco cerca tra i
vescovi il mons. Pante e gli fa
Ho capito recentemente quanto sia importante
accompagnare persone alla scoperta dell’Africa. Frequentando con assiduità i
progetti (perché questo è ciò che faccio) ho finito per dare per scontati
tantissimi aspetti che invece mi avevano infiammato all’inizio. Inutile
negarlo: con il tempo si perde un po' di poesia e le emozioni si fanno più
sfumate. Sento l’esigenza di partire, di tornare, ma a volte fatico a ricordare
il perché.
Quando a viaggiare non sono solo è tutto diverso. È
come tornare indietro nel tempo. Riesco a rivivere tutto attraverso gli occhi,
le emozioni, gli interrogativi di chi è al mio fianco.
L’Africa ha due piani di lettura.
C’è la crosta, il piano superficiale, che contiene il
disagio, la povertà, i contrattempi, le malattie. È la
Il progetto ha come obbiettivo
il miglioramento della vita economica e sociale delle famiglie rurali,
contribuendo ad aumentare il reddito delle famiglie, a ridurre la durata della
stagione di assenza di alimenti (coincide con la stagione delle piogge) e a
migliorare la qualità del cibo disponibile per ogni
famiglia. Ciò attraverso
l’incremento della produzione di prodotti agricoli (riso, arachidi e
allevamento di polli) e dell’ottenimento di migliori prezzi di vendita
(formazione e stoccaggio comunitario).La metodologia di
implementazione si basa sulle attività di prossimità, l'organizzazione degli
abitanti del villaggio attraverso le associazioni e lo sviluppo delle capacità
dei contadini relativamente alle nuove tecniche di coltivazione. Sei animatori rurali frequentano almeno una volta al mese ogni villaggio.
I fondi del progetto sono autogestiti dal gruppo. Le famiglie ripagano i
semi ai rispettivi gruppi
VolontariA onlus e la sezione Agesci della zona di Forlì invitano gli scout di Forlì a partecipare ad un cantiere di scautismo internazionale in Madagascar. Indicativamente il periodo sarà 15-31 agosto 2019. Si tratterà di un periodo di servizio & strada insieme a gruppi scout locali e le attività in cui saremo impegnati riguarderanno educazione ed ambiente. Il termine ultimo per presentare le candidature è il 9 novembre. Verranno accettati R/S e capi di età preferibilmente inferiore a 25 anni. Verrà comunicata ai candidati in tempi relativamente brevi una data per chiarire i tempi, i costi, le modalità e l'iter formativo. Se sei interessato /a puoi segnalarlo al +393483531931 oppure scrivendo a casaneldeserto@gmail.com. Lo staff organizzativo vaglierà le domande pervenute e compilerà la lista definitiva. In collaborazione con Centro Missionario Diocesano Forlì - Bertinoro e VIM - Volontari Italiani per il Madagascar.
Il
grande salone rifiuta la luce già aggressiva delle otto del mattino.
Jean-Claude mescola i chicchi nel piatto trasparente in cui navigano polpette
di riso. Mi porge una tazza di plastica arancione colma di caffè: se la guardo
dall'alto mentre la reggo tra le mani penso a un girasole. L'amministratore
Jean-Claude dice di essere felice di averci al suo fianco durante questa
trasferta. "Sambatra izahay koa" anche noi siamo contenti. Sono ormai
la le 9:30 quando la Nissan Patrol bianca abbandona il parcheggio del
seminario, direzione Ankadinondry. Una bandiera bianca e gialla ondeggia sul
tetto
dell'autovettura: ne osservo i lembi visibili dal mio sedile, rapita
dalla lentezza dei suoi movimenti nonostante la grande velocità che ci
trasporta. "Sembra ci abbiano riservato un'accoglienza non
indifferente" biascica l'amministratore tra una telefonata e l'altra. È un
corridoio largo: a terra c'è un tappeto di terra rossa. Jean-Claude è vestito
di nero ed indossa grandi occhiali da sole, io e Roberto lo seguiamo. Saranno
state duecento, trecento, forse quattrocento persone, in piedi come alberi
lungo il viale e a mani giunte come statuette da credenza. Stringo almeno cento
mani: ruvide, appiccicose, di bimbo, di età, alcune morbide, lisce ma vigorose,
altre quasi inermi. Le due file di persone sono come ballerini prima di una
quadriglia: dopo il nostro passaggio si avvicinano, le
La rivista associativa AGESCI SCOUT Camminiamo Insieme (35.000 copie di tiratura distribuite su tutto il territorio nazionale) ha raccontato il nostro progetto 2017-2018 come esempio di comunicazione e testimonianza. È stato dato grande risalto al libro che abbiamo pubblicato e al blog che raccoglie i pensieri che i ragazzi hanno espresso nel corso dei momenti di condivisione al campo di servizio in Tanzania. Grazie di cuore alla redazione che è venuta fino a Forlì lo scorso marzo per intervistare il Clan Forlì 6 ed il Clan Castelnuovo Rangone 1 e complimenti per la qualità degli articoli e delle foto. L’Educazione è la Strada per cambiare il Mondo! Per visualizzare la copia di Camminiamo Insieme Cliccare qui
Dopo un picnic tra i pulcini a casa di
Naina permetto all'aria calda di asciugarmi la fronte, ma solo per qualche
secondo: è già ora di ripartire. È un villaggio in cui il rosso diventa marrone
e il tetto di paglia delle case sembra ritagliato e incollato su un cielo
azzurro e bianco. Le nuvole sono dipinte con un pennello grande sporcato
di bianco; un pennello più sottile accarezza i contorni con linee veloci. Gli
abitanti sono come statue nel meriggio montaliano, illuminate dalla mistica
luce di un temporale in arrivo.
I bambini non sono come quelli di Tsiro: sono
nascosti dietro gonne di mamma, gli occhi non
sono imbarazzati ma impauriti.
Alla mia sinistra un neonato sta cigolando a ritmo di singhiozzi da quando
siamo arrivati. Siamo qui per assistere alla realizzazione dell'olio di
arachidi: menaka gasy. La legna alla mia sinistra diventa fumo, presumo per
cuocere le briciole che profumano di autunno dentro al grande sacco alla mia
destra; io sorrido ai bambini. Quando ricevo qualche timido accenno in risposta,
proseguo con giochi di battiti di mano e di nomi da ricordare: è appagante
vedere l'incurvatura delle labbra sbocciare in una risata e sentirsi in parte
responsabile. Una trentina di persone vestite di colori e terra
ci circonda, ma i miei occhi sono per il fuoco che profuma di cinema e
colazione: come è possibile che anche qui, ora, io mi senta quasi a casa?
Mi piace seguire i ritmi della natura. Il risveglio che segue il sole, odore di tappeti e polvere e cosce stirate da gambe incrociate, mani sulle ginocchia. Gli occhi sono chiusi per permettere ai pensieri di uscire dalle sottili fessure delle ciglia: li lascio liberi di osservare dall'alto, per permettermi di iniziare la giornata con più consapevolezza di ciò che ho attorno. Dopo la partita di basket delle otto del mattino, si balla sulle note di "Avec Toi", a piedi nudi sulla terra rossa. La musica è disturbata dal clacson del fuoristrada di Naina. La sabbia rimane sola, in compagnia di impronte di piedi diversi, uniti nella stessa danza: sigillo di un momento che si sbriciola, diventando un pensiero.
Sobbalzo e rimbalzo, il che rende più difficile cantare Avec Toi per animare il viaggio di andata. Le ruote imponenti dominano la strada ondulata e appuntita sotto la vigile guida di Naina, che sorride al volante quando parlo malgascio.
Dal finestrino osservo susseguirsi senza sosta fotografie di paesaggi di luna che sorge. Arriviamo a Besaika: mentre Naina abbassa il finestrino per salutare qualche conoscente a pochi metri da lui, io
Questa mattina siamo andati nello stesso spiazzo dove giovedì c'è il mercato degli zebù. Migliaia di persone cantavano e ballavano in attesa che arrivasse Andry Rajoelina, candidato alle elezioni presidenziali, con il suo elicottero.
Motivo principale per cui io, Anna e Marie Jeanne ci trovassimo lì era ottenere una di quelle fantastiche magliette arancioni con il faccione di Rajoelina, che tanto si portano qui a Tsiro. Il capo della security, in cambio delle magliette, ci ha dato l'incarico di fotografi autorizzati dell'evento: avevamo libero accesso ovunque, incluso il palco.
Così io e Anna siamo stati al fianco di Rajoelina mentre lui faceva il suo energico discorso di propaganda. Avevamo gli occhi di tre mila persone addosso, comprese le telecamere: sintonizzatevi su TV Plus se volete vedere due vazaha ai piedi del futuro presidente del Madagascar.
Oggi pomeriggio sono diventato un uomo adulto: ho ucciso un essere vivente. Non so perché, forse per curiosità, mi sono proposto per sgozzare l'anatra che questa sera mangeremo a cena.
Sono le 14. Sono
comodamente seduta su un grande sasso liscio e piatto nel giardino delle Petit
Soeurs Marie Magnificat. Il sole, inizialmente piacevole, è ridondante. Sono
immersa nello stato d'animo dell'attesa, suggerito dai frequenti cambi di
posizione a cui involontariamente sottopongo il mio corpo. Sembra la mattina di
Natale quando, finalmente, intravedo otto piccoli occhietti dalla fessura del
grande cancello socchiuso! Eccoli. Sono Mariná, Hasina, Claudie e un bambino
che ho deciso di chiamare Martin come risultato dell'assemblaggio dei suoni che
percepisco quando sussurra a testa bassa il suo nome. Mariná, Claudie e Martin
sono qui solo come accompagnatori: Suor Marie-Jeanne ha convocato solo Hasina.
Ha i piedi nudi ma puliti, una gonna di tessuto
Intingo ritmicamente le
gallette all'interno dell'acqua calda nella mia tazza bianca, senza manico.
Ascolto il suono di questa lingua, incarnato dalle voci corpose di Suor
Marie-Jeanne e Suor Benedicte. Una successione di vocali strascicate e
consonanti gutturali che si annodano l'una con l'altra e mi trasportano in una
dimensione ancestrale. Anche il più banale dei discorsi appare solenne quando
non posso comprenderlo. Colgo alcune parole come "rahampitso" che
significa domani, qualche numero che probabilmente indica un orario, un paio di
nomi di suora. Suor Ernestine termina il suo monologo in
Mi sveglio intontita dopo aver dormito per 10 ore e mezza. È il suono della sveglia del mio cellulare ad interrompere il mio sonno, riportandomi alle mattine invernali fatte di scuola e routine. Ho deciso di indossare la maglia di cotone color panna che termina con un ricamo, perché è domenica. Oggi andremo a messa, tutti insieme con suore e novizie. Come prepararsi per quattro ore di messa in una lingua sconosciuta?
Immagino ore fatte di testa ovattata e aria viziata; al contrario, è stata una mattinata di seta bianca e drappi rossi. La tenda sembra un centrino e oscilla come una pesante bandiera mossa dal venticello che, alle nove del mattino, ancora anima il cielo malgascio. La danza della tenda copre e scopre la
Arriviamo al centro di accoglienza di Santa Marta
in cui un'atmosfera da savana incornicia il passo strascicato di un uomo sui
quaranta con un cappello viola. Sta attraversando un vecchio campo da basket
per raggiungere il cancello a cui sono aggrappata con la mano destra. È bastata
qualche parola a noi incomprensibile uscita dalla bocca di Suor Marie-Jeanne
per essere invitati ad entrare. Otto donne vivono in otto case: una casa è una
stanza fatta di pietra e stoffa. Sono sole, con un figlio da crescere, gli
studi da finire e un lavoro da imparare. Vivono gratuitamente nel centro di
Santa Marta grazie ai soldi della diocesi. Ho conosciuto Larissa, la ragazza
della penultima casa con la tenda di fiorellini
celesti shabby chic, ma ciò che
è davvero chic è la compostezza di Larissa. Il suo viso disteso trasporta un
sorriso di convenzione mentre si allontana dall'uscio per presentarci sua
figlia Graziá, con il vestito bianco e giallo e un braccialetto di fettuccia e
bottone. Graziá è seduta in braccio ad una bimba più grande appoggiata ad una
colonna. Quando allungo verso di lei il mio indice bianco che termina con
l'unghia rossa di sabbia, vengo sfiorata dal dorso della sua manina piccola.
Tornando verso il campo da basket vedo la
C'era uno spiazzo enorme con una recinzione in ferro e cemento. Ovunque stavano mandrie di zebù. Neri, marroni, bianchi, pezzati. Alcuni avevano delle corna veramente imponenti. Quando si allontanavano dal loro gruppo, venivano colpite con fruste e bastoni.
Le persone erano ancora di più degli zebù, Tutti a comprare o vendere. Giovedì a Tsiroanomandidy è la giornata del mercato degli zebù.
Ho fatto delle gran foto, ne sono contento. Un forte ringraziamento va al mitico Salgado.
Una donna insisteva per salutarmi: uno, due, tre, quattro baci... non la finiva più. Poi mi ha annusato la mano. Un vecchio poco lontano mi fece capire che quella donna era ubriaca.
Per strada ci siamo fermati a fare merenda con i Mufukasi. In realtà non ricordo come si chiamino esattamente. Comunque sono delle polpette di riso fritte, molto dolci, una specie di pancake. Li adoro.
Suore Marie ci ha fatto una sorpresa: ci ha portati sul tetto della cattedrale. Dopo una lunga e stretta
Stiamo aspettando tutti insieme di andare verso l’aeroporto
e ripensando agli intensi giorni precedenti, fatti prevalentemente di viaggio
in autobus, vorremmo rendervi partecipi delle nostre ultime impressioni.
Il nostro ultimo giorno a Bomalang’ombe siamo stati invitati
nella scuola primaria di Mwanzala, inaugurata l’anno scorso dall’associazione
VolontariA insieme al clan del Forlì 6. I calorosi discorsi di ringraziamento e
benvenuto, da parte della preside e dei numerosi bambini presenti, ci hanno
fatto riflettere sulla ragione per cui abbiamo deciso di fare questa esperienza
e così ci siamo accorti che la nostra presenza, per quanto breve, ha lasciato
un segno, non solo in loro ma anche in noi.
Ognuno di noi torna a casa con riflessioni differenti,con il ricordo di una nuova terra e di un’esperienza
che ci ha arricchiti anche come comunità.
Ci teniamo che la nostra esperienza venga raccontata in modo
più diretto e personale una volta tornati, vi terremo aggiornati, perché il
nostro racconto non è finito qua.
Si chiama Madame Madeleine ma qua è conosciuta come Madame Vazaha (straniera). È belga ma abita a Tsiro da 42 anni. Oggi io e Roberto le abbiamo fatto visita sotto l'attenta guida di Suor Marie-Jeanne. Quando entro in casa scostando la tenda velata bianca mi viene subito in mente la tavernetta di mia nonna, fatta di Barbie e giochi di plastica anni '50. Sul tavolo riconosco la custodia della cassetta del cartone "il principe d'Egitto". C'è odore di soffitta e la penetrante colonna sonora di un film francese in televisione copre la voce delicata di Madeleine. Indossa un vestito verde infermiera ed un cardigan di lana rossa; i suoi capelli corti, grigi e lisci incorniciano il suo viso morbido, bianco, stanco. Madeleine ha gli occhi azzurro ghiaccio, di quelli che se li fissi per un po' ti viene da lacrimare. Si rivolge a noi con un francese sofisticato. Ad un certo punto Madeleine si alza dalla poltrona, lentamente per via di un problema alle caviglie, e scompare nella stanza accanto. Suor Marie-Jeanne approfitta della sua assenza per paragonarla ad una grande mamma. Madeleine ha aperto la sua casa di Tsiro a sette bambini diversamente abili e da 24 anni contribuisce al mantenimento di una scuola che ospita 400 bambini e ragazzi che necessitano assistenza. Domani mattina, alle 9:30, io e Roberto visiteremo la scuola. È ormai pomeriggio, ma il sole ancora alto mi costringe ad aggrottare le sopracciglia mentre esco dal cancello del Liceo Cattolico di Tsiro. <>: è un bimbo piccolo, con gli occhi neri e una maglietta rossa con la stampa di un coccodrillo verde che mi ricorda le illustrazioni di Nicoletta Costa. Mi accovaccio e arriccio il naso: <>. Non appena mi presento, un esercito di bambini investe me e Roberto. Tra un Je m'appelle e l'altro colgo il nome di Jacqueline, una ragazzina di 12 anni che decide di divertirsi sciogliendomi i capelli. Una ventina di bambini mi circondano, mi fanno sedere per terra e in un attimo i miei cheveux sono suddivisi in tante piccole treccine. Mi sento giullare come quando facevo l'animatrice al miniclub di Cesenatico, ma con una piccola differenza: questi bambini non stanno con me per noia o perché indosso una buffa maglia gialla con scritto "Staff Animazione". Forse hanno deciso di trascorrere una mezz'ora con me perché ho un viso nuovo e dei capelli perfetti da annodare perché troppo lisci e sottili (anche se ora che sto tentando di sciogliere le treccine non sembrano più tanto lisci... ). Ora penso a Madeleine, che ha avuto il coraggio di spalancare le porte delle case di Tsiro e ha donato la sua vita per risolvere un problema. Io purtroppo non vedo un singolo problema, vedo soltanto delle conseguenze sfuocate di un problema di base che purtroppo non riesco ad identificare. L'amministratore diocesano Jean-Claude ci ha parlato di politica... Ho deciso di rispettare la lentezza dei miei pensieri e ammucchiare domande senza risposte, ancora per un po'.
Sono a casa quando vedo il grande portone di metallo socchiuso e all'interno lo svolazzare della veste azzurra della suora che tenta di sganciare il catenaccio. È quasi mezzogiorno; stamattina alle sette abbiamo lasciato Tanà, con la sua aria fredda e bagnata e il classico disagio del primo giorno: ora siamo a Tsiro. Qui dentro c'è aria di festa: nomi, baci (tre baci partendo dalla guancia destra) colori. Il pomeriggio è fatto di docce fredde, panni stesi al sole, profumo di sapone di Marsiglia, cesti ricolmi sulla testa, sorrisi imbarazzati, sole e mal di testa, zanzare e una lunga dormita: è un pomeriggio arancione con un tocco di blu. Mi sveglio con il buio pesto delle 18:02 e una melodia di vespri cantata da voci di giovani donne. La serata inizia ora: è fatta di stelle sconosciute, riso ed erbe, aria fredda e un momento tutto mio, a lume di candela. Per la prima volta, dopo tanti mesi, socchiudo gli occhi e penso. Penso non in funzione di qualcosa che devo fare o per il rimorso di qualcosa che ho fatto, ma osservo come il mio respiro riesca a far danzare la debole fiamma che illumina la mia camera. Percepisco la lentezza del luogo in cui mi trovo: un ritmo dolce ed elegante, che cela però grande laboriosità. Le occupazioni che finora ho ritenuto "casalinghe" o superflue appaiono ora fondamentali. Voglio approfondire questo pensiero.
19-08-18Eccolo di nuovo. Eccolo l'odore dell'Africa. È come se fossi ritornato a casa. Le suore infatti mi hanno così accolto: come sei fossi uno di loro, un amico di sempre. "Roberto! Scout! Bienvenue!" Avevano anche un cartello con il mio nome. Siamo saliti in macchina e siamo partiti per Tsiro. Alle 8 avevamo fame e abbiamo fatto colazione con il riso e dei piccoli pesci. Mancavano ancora 3 ore e Naina, il nostro autista, ha messo una musica simile al Kelele della Tanzania. Poi ha messo Bennato. Nel retro della casa delle suore c'è un campetto di basket. Io ci sto in mezzo e sto scrivendo. La terra rossa è ovunque: ha già invaso il mio zaino e le scarpe.
20-08-18 Questa mattina abbiamo fatto un giro a Tsiro con Suor Marie Jeanne. Siamo stati in banca e abbiamo acquistato le SIM. Poi siamo andati a comprare le salsicce al mercato. Per le strade ci sono tantissimi polli, maiali e zebù. Ovviamente tutti morti, prossimi al macello e alla vendita. A pranzo c'erano fagioli, salsicce, fagiolini e ovviamente riso. C'è talmente tanto riso che usano come bibita l'acqua con cui viene bollito. Dopo pranzo siamo tornati al paese, io ed Anna. Al mercato c'era ancora molta gente, nonostante fossero le due del pomeriggio. Ci siamo fermati in una locanda, abbiamo preso una birra. Un tipo ha cercato di conversare con noi ma c'è stata solo qualche risata imbarazzata, visto che parlava solamente malgascio e noi non capivamo nulla. Nelle campagne africane, tra le prime cose che noti nelle persone sono i piedi scalzi e sporchi. Dopo aver innaffiato per ore le rose nel giardino delle suore, anche io ed Anna avevamo i piedi sporchi e fangosi. Proprio come loro.
E finalmente abbiamo iniziato le nostre attività a Boma! divisi in 2 gruppi abbiamo animato l'asilo ed esplorato la foresta arrivando stremati a fine giornata, sia per i sentieri equatoriali che per l'energia interminabile dei bambini.
Ci ha sorpreso il loro caloroso benvenuto nonostante le manine gelide e le scarpette un po' rotte: ci rimbombano ancora in testa le loro voci squillanti e la loro emozione davanti a un pallone (così è nato il gioco "palla scatenata") il pomeriggio è trascorso tra visite al villaggio, alla sartoria, a fare lo slalom tra moto impazzite, al saloon di bellezza ed a "aereosollarci" di terra rossa e smog.
Per i genitori: siamo serviti e riveriti ad ogni pasto, sempre accolti da piatti caldi dopo fredde giornate d'agosto (strano pensare che diremo di aver patito freddo in Africa).
E buon ferragosto anche se qui sembra più San Geminiano.
Ps. Avvistata pastiglia di Malarone nelle acque del fiume delle foreste tanzaniane, ma è tutto sotto controllo.
Allora,
eccoci qua dopo un’altra intensa giornata a raccontarci quello che è successo .
Inizialmente abbiamo passato un paio di ore a fare i biglietti per la foresta
pluviale. Per passare il tempo abbiamo fatto un allenamento fra di noi a calcio
per l’incombente partita (non giocata) che ci avrebbe dovuto aspettare contro
gli scout di Iringa. Dopodiché abbiamo
avuto l’incontro con il vice vescovo del luogo, che ci ha spiegato il sistema
scolastico della Tanzania. Abbiamo poi incontrato il gruppo scout maschile, che
accogliendoci in una maniera molto calorosa ci ha colpito per il modo di fare
molto spontaneo. Dopo un pranzo on the road (la strada viene chiamata massaggio
dell’Africa, per via delle sue condizioni) siamo giunti alla scuola secondaria
professionale Nyota-Ya Asubumi di Ilamba. I bambini della scuola ci hanno
accolto con canti e risa e ci hanno detto i loro sogni futuri. Dopo un tortuoso
percorso siamo finalmente giunti a Bomalang’ombe, dove le signore che
gestiscono la casa hanno cucinato un tipico pasto per noi. Qui il cielo è un
tripudio di stelle.
A tre giorni dall'inizio della nostra route, dopo 9 ore di aereo, un "afterino facile", 12 ore di pulmino con tanto di avvistamento di giraffe, elefanti, babbuini, antilopi, gazzelle, zebre e carcasse, siamo arrivati sani e salvi (a parte uno zaino) ad Iringa.
Durante il viaggio, abbiamo tutti notato quanto questo ambiente sia molto diverso da quello in cui viviamo ogni giorno.
Per esempio, parlando del tempo... pensate alle nostre tipiche giornate, frenetiche e piene di impegni... beh, dimenticatevele: qui è tutto "pola pola ", o come diciamo noi, "tola dolza".
Lungo tutto il percorso, infatti, abbiamo visto piccoli gruppi di persone che stavano semplicemente seduti di fronte alle loro baracchine o piccole botteghe a vendere i loro prodotti o a parlare e mangiare con i "vicini". Parlando di oggi, la giornata in teoria sarebbe dovuta iniziare alle 7:30... in pratica, alcuni non hanno sentito la sveglia perché ci sono delle persone che cantano per strada già delle 6 del mattino.
Qui, infatti, ovunque vai la musica c'è sempre. Abbiamo poi partecipato alla messa locale, che si è tenuta alla cattedrale: è stata un'esperienza unica e speciale.
All'inizio tutti ci guardavano, scrutavano e studiavano... soprattutto i bambini, che sembravano quasi affascinati da noi.
Per la prima volta ci siamo sentiti "stranieri", "diversi", perché eravamo una piccola macchietta bianca in un mare coloratissimo; ci hanno, comunque, resi partecipi e ci hanno accolto calorosamente.
Siamo poi andati a fare la spesa al mercato, dove ad ogni metro si sentiva un odore diverso.
Sono stati tre giorni molto intensi, forse talmente tanto che dobbiamo ancora metabolizzare il tutto.
Questa sera riposo e domani si riparte verso Bomalang'ombe... A prestooooo!!!
[I padri della Consolata di
Garissa] sono venuti per scelta, per mettersi a servizio di questa gente nomade
e poverissima, ma a servizio vero, per crescere con loro: istruzione, tentativo
di aiutarli a diventare uomini veri, con una loro dignità, una loro possibilità
di crescere da soli, di progredire, cosa, oggi, impossibile perché mancano i
leader preparati. Il progetto è stato calorosamente approvato quando i padri
hanno messo ben in chiaro che non solo non si farà proselitismo di alcun genere
ma che i ragazzi… saranno mandati alla scuola locale dove tra l’altro sarà loro
insegnato il Corano e, meraviglia di tutte le meraviglie, che l’orfanotrofio
sarà aperto al loro prete o insegnante di religione musulmano tutte le volte
che vorrà venire e sarà chiuso invece a qualunque prete o insegnante di
religione cattolica o cristiana che voglia andare a “evangelizzare”.
La Luna (28/10/72)
La Luna ha un profondo valore
simbolico nel mondo religioso musulmano e in quello di tutti i popoli del
deserto. Tutta la vita del musulmano si regola sulle fasi lunari: il tempo, gli
anni, i mesi, le settimane, il Ramadan (il mese di digiuno), le grandi feste
religiose, le cerimonie liturgiche… il nomade ama moltissimo la luna e dice che
è buona e bella. Come è vero, sempre più vero, che il conforto viene alla fine
sempre e solo dalla donna e non dall’uomo…
La moschea (11/06/73)
Da un po' di tempo abbiamo
cominciato anche la costruzione di una moschea; i ragazzi indubbiamente
purtroppo sono dei velleitari ma fin da quando sono venuta desideravano tanto
avere una moschea, di queste fatte così, di rami, ma belle però, eleganti e poi
invece praticamente chi fa la moschea sono io che procuro i pali, che procuro
l’aiuto nel lavoro, tutte le idee, il luogo in cui farla. Comunque già io pregusto il
giorno in cui la moschea sarà pronta… dentro metterò delle stuoie, spero che i
ragazzi possano pregare di più , pregano così poco; la gioventù si allontana
completamente dalla religione ma non perché ne ha trovata un’altra più valida
più forte più robusta, no purtroppo, la gioventù si allontana dalla religione
solo perché la sta perdendo, solo perché ai suoi valori religiosi sostituisce
altri valori, valori che ubriacano questi giovani, che fanno perdere loro la
testa e non sono valori perché sono il denaro, perché sono la popolarità, il
successo.
La sepoltura di Mohamed (7/12/78)
(Parlando della sepoltura di
Mohamed, guardiano ed aiutante ucciso nel corso di un tentativo di rapina al
compound di Annalena. Annalena è dispiaciuta perché il corpo non è stato
sepolto secondo la tradizione musulmana, avvolto in un lenzuolo bianco, ma ha ricevuto
un funerale cristiano con una bara)
Mohamed io lo volevo a Wajir.
Sognavo per lui un funerale degno del suo martirio, una tomba col muretto alto…
una tomba col suo nome, con un’iscrizione in arabico… nel nome di Dio
onnipotente e misericordioso… volevo un luogo a cui poter tornare… Dio ha
voluto diversamente. Volontà di dio. Sia fatta la volontà di Dio. Ed è Dio che
ha voluto che Mohamed fosse sepolto come qualunque buon cristiano di questo
mondo, lui che cristiano lo era diventato profondamente nello spirito, lui che
aveva imparato da me le leggi dell’amore, lui che serviva i malati come me e
meglio di me, e mai per mestiere, sempre perché gli scaturiva dal cuore; e
quando mi vedeva più preoccupata del solito per qualcuno di quei corpi minati
moltiplicava i suoi sforzi per aiutarli, incoraggiarli, tradurre loro qualunque
cosa io dicessi, precedendomi nel servirli perché io non mi stancassi troppo.
Mohamed oggi è in Dio. Non posso non esserne felice.
Giobbe è “nostro” ma anche “loro” (25/11/79)
La tragedia è che l’Islam non
insegna il comandamento dell’amore e dire che questi musulmani sono splendidi
nella loro potenza di adorazione, pregano continuamente, piegano le ginocchia e
la testa nel nome di Dio, hanno le lodi a Dio continuamente sulla loro bocca,
la certezza incrollabile nel cuore e nello spirito che tutto avviene per volontà
di Dio e che tutto va bene, va sempre tutto bene perché Lui sa ed è solo Lui
che guida uomini ed eventi… dunque tutto è Grazia! Proprio come noi… Giobbe
potrebbe essere “loro” nella stessa misura in cui è sicuramente nostro. Tutti i
suoi beni sono distrutti, le sue ricchezze depredate, tutti i suoi dipendenti e
i suoi servi uccisi, i suoi figli e le sue figlie morti sepolti sotto le
macerie della loro casa… “Allora Giobbe si alzò e si stracciò la veste, si rase
il capo, cadde a terra e adorò, e disse: Nudo uscii dal seno di mia madre e nudo
vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore
così è avvenuto: sia benedetto il nome del Signore! Se da Dio accettiamo il
bene, perché non dovremmo accettare il male?”.
Il canto del Muezzin (14/12/79)
Carissima mamma, è mattino
presto. Fuori c’è un cielo incantato di stelle e un filo argentato di luna che
fa tremare il cuore in petto. Era tutto quieto. Ma adesso un uomo si è messo a
cantare, chiama gli altri alla preghiera, altissimo il tono della voce, ma
pacato, vasto e lento il suo cantilenare: nel nome di Dio onnipotente e
misericordioso, alzatevi o fratelli, è tempo di lodare Dio. Non indugiate,
alzatevi, Dio chiama… è ogni volta un’emozione intensa, ogni giorno come un’esperienza
nuova, bellissima, toccante, liberante, purificante… e mentre prego perché questa
fede così divinamente rocciosa possa un giorno essere illuminata e penetrata
dal sole di Gesù Cristo, prego anche intensamente perché questa fede sia
conservata a questo popolo.
Volunteers of Wajir Grannies Centre - DCCG (John, Patrick, Habiba) have remained the only
representatives of the Catholic community to visit families in the villages. Once this activity was a practice for the
Rehabilitation Centre, which carried out community based rehabilitation for
children who could not go to the Centre. Today this does not happen
anymore. "Reasons for security" is reported to
me by the Camillian sisters. Honestly, I can not blame them. I accompanied the volunteers to visit the elders
registered in the centre (over two hundred) in the villages of Alimaow, Gutut,
Jogoo, Hodhan, Wagberi. I understood in person the importance of going
to meet the poor at their home. It was essential that I’ve been introduced by
the DCCG team. Very few whites are seen in town (in the week
I've been there I've never met one) and in the villages nobody ever. I was the first white child that many children
met in their life. Somali culture is very diffident and closed
towards foreigners: the company of the volunteers of the centre has instead
generated joy and welcome and wide-open smiles everywhere. This is the legacy of Sister Teresanna's thirty
years of service to the aged. Taking pictures was not a problem and even the
access inside the “tucul“ (the small dome-shaped huts of the Somalis) was
allowed friendly. I also seated and I was offered Somali tea filled
with goat's milk. All this in other circumstances would have been
difficult for a foreigner and even impossible for a white man. The volunteers of the DCCG Centre are the
ambassadors of the Christian community in the villages. The Charity that they practice constantly allows
all Catholics to be accepted and to live in peace in Wajir. Many grannies registered at the Centre are
unable to walk. It is therefore important to meet relatives or those
who come to collect the medicines, foods and other basic necessities that are
distributed. Entering the small enclosures built with low
thorny bushes planted on the sand allows us to understand how the grannies
family is composed. In general, only women and children are
encountered, since men, when they exist, are generally looking for a job or in
the bush with dromedaries and zebu. I have found that there is never more than one
salary (often occasional) every ten to fifteen people. The interior of the huts is very poor. Two or three beds are laid out on the sand,
often without a mattress. Some objects hang from the branches that make up
the supporting skeleton. There are no ornaments - besides there are no
furniture - nor decorative objects. The heat is more or less suffocating depending
on the roof material of the hut: acceptable if covered with straw mats,
unbearable if in plastic sheets or even pieces of sheet metal. During the visits we met some success stories
occurred in the many attempts to offer opportunities to generate income for
grannies. Some goats distributed have become small herds,
simple business tables transformed into real shops. Meeting families is also an opportunity to
verify a disheartening fact: many children do not attend school. Indeed, it seems that the choice whether to go
to school or not is entrusted to the children themselves. A decisive intervention in this sense should be
a future development of the Centre's activities. During the visits to the villages, the aged
became the pretext to get to know many aspects of culture, families and Somali
society. Looking for grannies you end up meeting two
equally vulnerable categories such as children and women. Together they are engaged in the daily struggle
for survival and our goal is to help them find dignity and humanity even in
such difficult lives.
I volontari
del Centro per Anziani di Wajir – DCCG (John, Patrick, Habiba) sono rimasti gli
unici rappresentanti della comunità cattolica a visitare le famiglie nei
villaggi. Un tempo questa attività era una prassi per il Centro di
Riabilitazione, che svolgeva riabilitazione su base comunitaria a favore dei
bambini che non potevano recarsi al Centro. Oggi ciò non avviene più. “Motivi
di sicurezza” mi viene riferito dalle suore camilliane. In tutta sincerità non
riesco a biasimarle.
Ho
accompagnato i volontari nella visita degli anziani registrati al centro (oltre
duecento) nei villaggi di Alimaow, Gutut, Jogoo, Hodhan, Wagberi. Ho compreso
di persona l’importanza di andare a incontrare i poveri a casa loro. È stato
fondamentale che io mi presentassi insieme all’equipe del DCCG. Si vedono
pochissimi bianchi in città (nella settimana in cui ci sono stato non ne ho mai
incontrato uno) e nei villaggi mai nessuno. Ero il primo bianco che molti
bambini incontravano in vita loro. La cultura somala è molto diffidente e
chiusa nei confronti degli stranieri: la compagnia dei volontari del centro
invece ha generato gioia ed accoglienza e spalancato ovunque enormi sorrisi.
Questa è l’eredità dei trent’anni di servizio agli anziani di Suor Teresanna.
Scattare foto non è stato un problema e anche l’accesso all’interno dei tucul
(le piccole capanna a forma di cupola dei somali) veniva permesso di buon
grado. In diverse circostanze sono stato fatto sedere e mi è stato offerto del
tè somalo allungato con latte di capra. Tutto questo in altre circostanze
sarebbe stato difficile per uno straniero e addirittura impossibile per un
bianco.
I volontari del
Centro DCCG sono gli ambasciatori della comunità cristiana nei villaggi. La
Carità che praticano costantemente permette a tutti i cattolici di venire
accettati e di vivere in pace a Wajir.
Molti anziani
registrati al Centro non sono in grado di camminare. È quindi importante
incontrare i parenti o i conoscenti che vengono in loro vece a ritirare i
medicinali, gli alimenti e gli altri generi di prima necessità che vengono
distribuiti.
Entrare nei
piccoli recinti costruiti con bassi cespugli spinosi piantati sulla sabbia
permette di capire come è composta la famiglia di cui gli anziani beneficiari
fanno parte. In genere si incontrano solo donne e bambini, dal momento che gli
uomini, quando esistono, sono generalmente in giro alla ricerca di
un’occupazione o nel bush con i dromedari e gli zebù. Ho potuto constatare che
non è mai disponibile più di uno stipendio (spesso saltuario in realtà) ogni
dieci-quindici persone.
L’interno
delle capanne è poverissimo. Sono disposti sulla sabbia due o tre letti, spesso
senza materasso. Alcuni oggetti sono appesi ai rami che costituiscono lo
scheletro di sostegno. Non esistono soprammobili – del resto non ci sono mobili
- né oggetti decorativi. Il caldo è più o meno soffocante a seconda della
copertura della capanna: accettabile se coperta con stuoie di paglia,
insopportabile se in teli in plastica o addirittura pezzi di lamiera.
Nel corso
delle visite abbiamo incontrato alcune storie di successo occorse nei molti
tentativi
di offrire opportunità di generare reddito. Alcune capre distribuite
sono divenute piccole greggi, semplici tavolini per la vendita di prodotti di
uso comune trasformati in veri e propri negozi.
L’incontro
dei nuclei famigliari è l’occasione anche per verificare un dato sconfortante:
tantissimi bambini non frequentano la scuola. Sembra anzi che la scelta se
andare a scuola o meno sia affidata ai bambini stessi. Un deciso intervento in
questo senso dovrebbe essere un futuro sviluppo delle attività del Centro.
L’anziano,
nel corso delle visite nei villaggi, è divenuto il pretesto per conoscere tanti
aspetti della cultura, delle famiglie, della società somala. Cercando gli
anziani si finisce per incontrare due categorie altrettanto vulnerabili come i
bambini e le donne. Insieme sono impegnati nella lotta quotidiana per la
sopravvivenza ed il nostro obbiettivo è di aiutarli a trovare la dignità e
l’umanità anche in esistenze così difficili. ML
“Vieni
nel deserto, Io parlerò al tuo cuore” (Osea [2,16])
“Dio creò il deserto perché gli uomini potessero conoscere la loro anima
(proverbio Tuareg)
L’avevo
promesso a me stesso: la prossima volta che fossi venuto a Wajir mi sarei
concesso un periodo di deserto all’interno dell’eremo che Annalena (lei lo
chiamava “eremitaggio”) aveva costruito. Eccomi qua, sulla cima della torre. Il
clima è fantastico, imprevedibilmente arieggiato e piacevole, lontano dal
riverbero della sabbia incandescente. C’è silenzio, sento solamente i suoni
della natura fino a quando i muezzin decidono che è giunta l’ora di richiamare
i fedeli alla preghiera. All’esterno delle mura dell’enorme terreno assegnato
al Rehab è sorta una città. All’interno c’è
qualche piccolo edificio ma il
paesaggio è lo stesso bush selvaggio che vedeva Annalena 43 anni fa, quando
costruì l’eremitaggio. Sono sbalordito dalla quantità di uccelli che mi
circondano: storni blu, buceri, turachi, colombi, tessitori, ibis, marabù. L’incontro
più incredibile è però un nibbio dal becco giallo che mi rimane accanto, appollaiato sulla cima
dell’acacia del cortile dell’eremitaggio, per quasi un’ora. Rimane immobile ma
attentaofino al momento in cui decolla planando sotto di me. Mi sento un
privilegiato e sento il cuore galleggiare. Ho portato con me la raccolta delle
lettere di Annalena (Lettere dal Kenya – 1969-1985). Rileggo le parti che
riguardano l’eremitaggio, ed ora assumono un significato ed un valore che mi
sovrasta e mi commuove…
13
aprile 1970
In
Africa o si è contemplativi o si fallisce tutto e chi ci rimette sono sempre
loro: i poveri. Qui non c’è nessuno o quasi nessuno in grado o disposto a darti
quell’ossigeno spirituale senza il quale
l’anima è in continuo pericolo di
asfissia. Per questo costruiremo presto il nostro eremitaggio per la nostra
giornata di “deserto” settimanale, per quello più lungo annuale e per offrire
silenzio, solitudine, pace a tutti quelli che vorranno venirci, i bianchi
naturalmente, perché sono loro ad averne bisogno.
8
febbraio 1975
Naturalmente
nell’eremitaggio non metteremo mai né luce né acqua. L’acqua l’attingeremo a
mano dal pozzo e la luce dal fondo dell’anima… poi ho comprato del ferro di
scarto, meglio del ferro vecchio per farne una specie di pioli incassati in un
angolo del muro della cappella per salire fino alla cima della torre. Forse non
vi ho ancora spiegato che la cappella dell’eremitaggio l’ho ideata come una
torre tutta vuota dentro fino al tetto. Alla sommità intendo lasciare solo
quattro colonnine agli angoli e il resto tutto aperto per permettere di
spaziare liberamente sull’orizzonte, per cui ho ideato una specie di scaletta
incassata nel muro per salire fino in cima alla torre.
10
febbraio 1975
Il
pozzo tende verso il centro, gli alberelli vagheggianti, è un sogno un balsamo
per il cuore andare
laggiù anche quando il sole è implacabile. Prendimi alla
lettera… uno starebbe sempre là. Già il cuore sperimenta una pace, una
dolcezza, una serenità insondabili. E’ una condizione di riposo dell’anima, un
allentamento dolce, senza scosse, di tensioni radicate nel profondo, uno stato
di fiducia senza tremiti, senza bui, senza debolezze, proprio come un bimbo sul
seno della sua mamma.
14
ottobre 1975
La
gioia di poter dare a un altro, a un pellegrino dell’Assoluto come noi, a tanti
e poi tanti che verranno alla ricerca di silenzio, assetati di Dio… la gioia di
poter dare, dicevo, di poter offrire il nostro eremitaggio unico al mondo, è
talmente “divina” che sarei pronta a costruirne un altro per noi pur di poter
costantemente offrire il nostro a chiunque volesse venirci a fare un’esperienza
di “deserto”.
5
novembre 1982
Stesa
sulla stuoia in cappella nel vuoto alto e austero della torre, contemplavo le
meraviglie di Dio… non è possibile che esista un altro luogo al mondo come il
nostro eremitaggio. Come ho potuto pensarlo così profondamente mistico, sobrio,
austero, gli alberi di spine verdissimi pieni di uccelli da favola, il pozzo
della samaritana, l’acqua della vita, il cielo da ogni lato, il muro altissimo
che esclude e spalanca su orizzonti infiniti…
23
dicembre 1983
Mi
sono persa nell’ascolto del vento, dei canti degli uccelli, delle imposte che
sbattono leggermente… mi sono persa nell’incanto delle rose del deserto che mi
sorridono brillanti qui appena fuori dalla porta, dalle finestrelle ricamate,
di queste mura rosa che sanno di pace e di antico. Tutto amo qui: gli alberi di
spine, il pozzo rotondo col ferro ritorto e la carrucola e le parole scritte
tanti anni fa e ormai sbiadite: “la mia anima ha sete di Dio, del Dio vivente,
quando verrò e vedrò il volto di Dio?”. La torre cava e quei pioli conficcati
nel muro con quella salita un po' ardua a significare che non si entra se non
per la porta stretta, non si cammina verso Dio, ma ci si inerpica e il respiro
deve farsi faticoso e il cuore deve tremare perché Lui è santo e poi perché
l’attesa di ogni incontro d’amore fa tremare il cuore.