Mauro e la sua famiglia erano venuti in Tanzania a trovarmi per una vacanza. Era il mio datore di lavoro prima che decidessi di partire ma soprattutto era mia amico. Ed è mio amico ancora oggi, dopo tanti anni. Nel corso dei giorni trascorsi insieme, in questo sperduto villaggio sugli altipiani, i
miei ospiti poterono fare esperienza della povertà in cui vive questo popolo. Tutti sanno che in Africa c’è la povertà, ma fino a quando non la si incontra non la si può comprendere fino in fondo. È come un vicino di casa con cui non abbiamo mai intrattenuto una conversazione. Possiamo dire chi è, ma non possiamo dire di conoscerlo.
Il vecchio paio di scarponi di Mauro aveva le suole lise, il carrarmato era sparito da tempo. Erano consumati ed in alcuni punti stavano per aprirsi delle discontinuità nel tessuto che li ricopriva. Agli occhi di un uomo appartenente al primo mondo erano oggetti da buttare che ormai avevano concluso il loro ciclo vitale.
Quando li demmo a Gaudenzio lui si commosse. Con le lacrime agli occhi ringraziò come sapeva fare solo lui, stringendo le mani e spalancando la bocca in un sorriso luminoso.
Contrariamente a quanto mi sarei aspettato, i giorni seguenti non indossò gli scarponi. Li mise per la prima volta la domenica, a messa. Li mise anche la domenica successiva, e quella successiva ancora. Quel vecchio paio di scarponi erano divenuti le sue calzature della festa.
Da quegli avvenimenti sono trascorsi dieci anni.
Oggi a messa, a Bomalang’ombe, ho incontrato Gaudenzio.
Mi sono sorpreso, sinceramente pensavo fosse morto. Era già anziano dieci anni
fa e la sua salute era minata da seri problemi respiratori. Invece era lì, in fondo
alla chiesa, con il suo inconfondibile sorriso smagliante. A parte gli occhi
velati dalle cataratte, l’ho trovato in ottima forma.
Istintivamente il mio sguardo è caduto in basso. Ai piedi
indossava ancora quel vecchio paio di scarponi. Lo stesso paio di scarponi che,
come Gaudenzio, era già vecchio dieci anni fa. Erano ricuciti, incredibilmente
consumati, stavano insieme per miracolo, ma erano loro. Gliel’ho chiesto e lui
me l’ha confermato. Per dieci anni sono state e rimangono le sue calzature
della festa. Sono rimasto senza parole e per tutta la giornata mi è rimasto un groppo in gola. Ho voluto fotografarli perché per me, oggi, quel vecchio paio di scarponi sono il simbolo di tutte le povertà del mondo.
1 commento:
Ormai non posso più non guardare se ci sono altri post !!! Anche se avete fatto ritorno a casa , rileggo i vostri post perché davvero ho vissuto con voi la vostra meravigliosa esperienza ! non ero fisicamente presente , ma era come se lo fossi ..ed ancor oggi sono lì con il mio pensiero e la mia anima ... bisognerebbe fare molto di più per chi sta certamente peggio di noi ma sa assaporare le "fortune" della vita !!! Grande Africa !!!
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