Memore
dell’esperienza acquisita nell’Udzungwa Scarp quest’anno ho organizzato una
“spedizione” alla scoperta dell’omonimo Parco Nazionale. Ho programmato tre
giorni di cammino partendo dal villaggio di Mang’ula (300 metri s.l.m. circa)
con l’obbiettivo di raggiungere il secondo picco più alto
della catena, il
Mwanihana Peak a 2500 metri s.l.m. Questa volta ho assoldato due portatori, un
cuoco, una guida ed un ranger armato, quest’ultimo con l’incarico di difendere
il gruppo da potenziali incontri pericolosi con predatori, bufali o elefanti.
Non è un viaggio economico, specie se affrontato da solo. Queste condizioni mi
hanno permesso però di percorrere l’intero tragitto senza uno zaino troppo
pesante, di fruire delle spiegazioni di una guida esperta e di penetrare in
tutta sicurezza all’interno delle aree più frequentate dalla fauna selvatica.
Il
programma era semplice: il primo giorno sarebbe stato dedicato a raggiungere il
campo base, a montare le tende e la cucina da campo. Il
secondo giorno ci avrebbe visti impeganti nell’ascesa al picco Mwanihana, mentre l’ultimo giorno avremmo smontato il campo e saremmo rientrati al villaggio di Mang’ula.
secondo giorno ci avrebbe visti impeganti nell’ascesa al picco Mwanihana, mentre l’ultimo giorno avremmo smontato il campo e saremmo rientrati al villaggio di Mang’ula.
Lungo
tutto il percorso è stata palpabile la presenza degli animali anche se la
vegetazione li celava all’osservazione diretta. Abbiamo scorto due sfuggenti
cefalofi rossi (antilopi simili a cerbiatti), tracce di leoni, impronte di
elefanti, sentieri tracciati dalle mandrie di bufali, i resti di una scimmia
blu divorata da un leopardo. La foresta è un ambiente che merita rispetto e
preparazione, è capace di regalare emozioni intense e paesaggi spettacolari ma
potenzialmente può anche rivelarsi letale. Nella prima ora di cammino hanno
incrociato il nostro cammino un mamba nero ed un serpente degli uccelli (Thelotornis capensis). Gli Udzungwa
custodiscono ben 11 diverse specie di primati e a me è stato concesso il
privilegio di vederne ben quattro: la scimmia blu o di Syke, il babbuini, il
colobo bianco e nero ed il colobo rosso di Iringa, una specie endemica di
queste montagne. Le scimmie qui sono animali timidi, non abituate alla presenza
dell’uomo. Appena avvistate scappano e sono quindi difficilissime da
fotografare.
Questa
foresta è composta di alberi maestosi, che raggiungono oltre i trenta metri di
altezza, come Sterculia appendiculata e Anttiaris toxicaria. Tra tutte le
piante due specie mi hanno colpito più di altre.
La
prima è stata Entada rheedii, una
liana che produce come frutti enormi baccelli legnosi lunghi
fino ad un metro e
mezzo. Il secondo è un albero “predatore”, il Ficus thonningii anche chiamato ficus strangolatore, per la sua
singolare biologia che per completarsi necessita dell’uccisione di un altro
albero.
Questa
pianta nelle prime fasi del proprio ciclo presenta le sembianze di un esile
rampicante delle dimensioni di un filo di spago. Quando il rampicante si è ben
saldato all’albero parassitato comincia a crescere e diramarsi fino a
costituire una vera e propria gabbia intorno al fusto del malcapitato. Lo strangolatore
cresce e lignifica sempre di più fino a soffocare completamente la pianta
ospite. L’ascesa al picco Mwanihana, che ha occupato tutto il secondo giorno, è
stata tosta ma la spettacolarità del paesaggio e del succedersi della
vegetazione che cambia con l’altitudine è valsa da sola la fatica. In
prossimità del picco si trova un terrazzo di roccia granitica, da cui si può
ammirare un mare apparentemente infinito di foresta in ogni direzione. Uno
spettacolo preistorico, un privilegio per occhi moderni potervi assistere.
Le
serate trascorse al campo base sono state memorabili. Per il campo base è stata
scelta un’ampia
radura a 1250 metri di altitudine in prossimità del fiume. E’
un posto idilliaco. Su queste montagne l’acqua dei fiumi è così fresca e
cristallina che si può bere tranquillamente, una vera e propria rarità rimasta
sul nostro pianeta.
La
sera abbiamo consumato la cena intorno al fuoco. Ho portato con me del whisky,
che ho condiviso con i portatori, ed un ottimo sigaro Cohiba, un piacere che ho
riservato a me stesso. Quando eravamo tutti riuniti intorno al fuoco,
cominciavano puntualmente i racconti che avevano come protagonisti i grandi
carnivoriIl cuoco era quello più prolisso e non lesinava particolari.
Attribuiva gli attacchi di mangiatori di uomini al malocchio lanciato su
commissione dagli stregoni. Con mia grande sorpresa, queste spiegazioni che a
me sembravano balzane, venivano accolte dagli altri con grande solennità e
rispetto, come ad avallarne la veridicità. Anche il ranger e la guida non
osavano mettere in discussione.
Al
termine della serata, quando cioè la stanchezza prendeva il sopravvento sulla
curiosità verso questi racconti splatter, dovevo far ritorno alla mia tenda. Il
breve tragitto tra il falò e la mia tenda mi è sempre sembrato lunghissimo!
M.L.
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