Giugno
2000, un turista inglese in vacanza in Kenya, presso il famoso parco Masai
Mara, commette l’azzardo di allontanarsi all’alba dal campo tendato presso cui
era alloggiato. Nel tentativo di scattare una fotografia ad un gruppo di
elefanti viene assalito e travolto dalla matriarca. Gennaio 2001, al Ruaha
National Park una “Peace Corp” americana viene travolta dalla carica di un
elefante dopo che si era allontanata dal veicolo su cui si trovava per scattare
alcune fotografie. Luglio 2007, Patrick Smith e la moglie Julie vengono
attaccati da un enorme elefante maschio all’interno del Masai Mara in Kenya.
Julie si salva, ma per Patrick non c’è scampo.
Ottobre 2009, Anton Turner viene ucciso nel corso di un attacco di un
elefante in Tanzania mentre accompagnava una troupe inglese della BBC che aveva
lo scopo di girare un documentario sulla vita di David Livingstone. Giugno
2010, Sharon Brown e la piccola Margaux vengono uccise dalla carica di un
elefante solitario nei pressi del monte Kenya.
Luglio 2010, una donna romana di 63 viene attaccata ed uccisa da un
branco di elefanti anni mentre prendeva parte insieme al marito ad un safari a
piedi nel nord della Tanzania.
Questi
sono alcuni (ma la lista sarebbe ben più nutrita) degli eventi tragici che riguardano
attacchi mortali sferrati da elefanti nei confronti di turisti. Non c’è una
statistica sugli attacchi nei confronti delle popolazioni locali, ma l’elenco è
sicuramente più lungo.
Gli
elefanti sono animali apparentemente placidi e tranquilli, ma non c’è da
scherzare con loro. Un amico che vive in Tanzania mi ha raccontato di quella
volta al Mikumi National Park quando, attaccato da un elefante mentre si
trovava al volante del suo fuoristrada, dovette abbandonare il mezzo mentre il
pachiderma vi si abbatteva come una furia per poi assistere impotente alla sua
distruzione e riduzione a lattina schiacciata. Questi animali possono
oltrepassare il peso di sei tonnellate (come una decina circa di vacche da
latte) e raggiungere una velocità di 40 km/h e non ho esitato a credere alla
sua storia.
In
realtà questi animali non attaccano mai senza un preciso motivo e sono certo
che se si potesse conoscere con esattezza tutti i dettagli degli attacchi dei
turisti sarebbe possibile comprendere gli errori o le leggerezze commessi da
loro o da chi li guidava.
Ci
sono regole da rispettare e segnali da riconoscere per interpretare il
comportamento degli elefanti ed evitare una carica.
Prima
di tutto in loro presenza è assolutamente indispensabile evitare gesti bruschi,
fughe precipitose e rumori forti. Durante una cena all’aperto al parco Ruaha
abbiamo ricevuto la visita di un elefante solitario che aveva fiutato odori a
lui congeniali. Alcuni turisti sono scappati precipitosamente emettendo urla e
imprecazioni ad alta voce, provocando segnali di agitazione da parte
dell’imponente ospite. Noi che ci trovavamo proprio davanti all’elefante ci
siamo immobilizzati e non abbiamo proferito parola. L’elefante non è dotato di
una buona vista, e l’immobilità diventa un’ottima arma di difesa nei suoi
confronti. Ha un olfatto invece eccezionale, ma eravamo circondati da bracieri
accesi per cui eravamo perfettamente nascosti ai suoi sensi.
L’elefante
si è avvicinato al barile che fungeva da bidone dell’immondizia, ha
letteralmente spazzato via il suo contenuto gustandolo però con tutta la calma
necessaria, e poi si è allontanato.
La
fotografia testimonia il nostro incontro ravvicinato.
Durante
il confronto con un elefante diventa decisivo conoscere alcuni dei sistemi che
adotta per comunicare. La proboscide alzata, le grandi orecchie spalancate a
ventaglio e le zampe anteriori che raspano il suolo indicano: “Vi avverto,
allontanatevi che mi sto arrabbiando”. La proboscide invece abbassata ma rigida
e la testa chinata preludono all’attacco.
La
situazione potenzialmente più pericolosa in assoluto è quando una madre viene
allontanata dal suo piccolo. Capita di attraversare in auto un branco di
elefanti, magari a nostra insaputa trovandosi sparpagliati e nascosti dalla
vegetazione da una parte e dall’altra della strada. Quando un veicolo si trova
in questa circostanza è fondamentale cogliere al volo i segnali sonori e visivi
che verranno lanciati ed indietreggiare immediatamente per lasciar
ricongiungere il branco.
Purtroppo
in diversi episodi tragici erano presenti guide esperte, il che fa supporre che
anche conoscendo alla perfezione il comportamento di questi animali non ci si
può sentire completamente al riparo da situazioni di rischio. Rimanere al
riparo di un veicolo o di un edificio rimane la prevenzione migliore per
osservarli in sicurezza.
Il
meccanismo di funzionamento della memoria dell’elefante non è ancora del tutto
chiaro, ma quel che certo è che questi longevi animali possiedono un’ottima
memoria. Ogni anno in Africa vengono uccisi dagli esseri umani centinaia di
questi animali, cifra che è ben lontana dai numeri dello sterminio perpetrato
nel secolo scorso. Tuttavia è plausibile pensare che la maggioranza degli elefanti,
nel corso della loro esistenza e delle enormi distanze percorse (percorrono
ogni giorno oltre cinquanta chilometri), abbiano incontrato essere umani
ostili, cacciatori o bracconieri, a piedi o sopra un veicolo, e abbiano fissato
nella loro memoria che la nostra specie non gli è amica. Non si può nemmeno
escludere che queste informazioni possano venire trasmesse alla prole mediante
comportamenti o segnali emessi dagli adulti ai piccoli in presenza dell’uomo.
Altri
segnali molto più intuitivi possono essere letti con facilità anche da ricercatori
neofiti della fauna selvatica. Può capitare ad esempio di avvistare elefanti a
cinque gambe. Non si tratta di mutazioni genetiche, bensì di reazioni di
esemplari maschi al periodo dei calori delle femmine.
M.L.
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