mercoledì 10 ottobre 2012

La Carica dell'Elefante

Giugno 2000, un turista inglese in vacanza in Kenya, presso il famoso parco Masai Mara, commette l’azzardo di allontanarsi all’alba dal campo tendato presso cui era alloggiato. Nel tentativo di scattare una fotografia ad un gruppo di elefanti viene assalito e travolto dalla matriarca. Gennaio 2001, al Ruaha National Park una “Peace Corp” americana viene travolta dalla carica di un elefante dopo che si era allontanata dal veicolo su cui si trovava per scattare alcune fotografie. Luglio 2007, Patrick Smith e la moglie Julie vengono attaccati da un enorme elefante maschio all’interno del Masai Mara in Kenya. Julie si salva, ma per Patrick non c’è scampo.  Ottobre 2009, Anton Turner viene ucciso nel corso di un attacco di un elefante in Tanzania mentre accompagnava una troupe inglese della BBC che aveva lo scopo di girare un documentario sulla vita di David Livingstone. Giugno 2010, Sharon Brown e la piccola Margaux vengono uccise dalla carica di un elefante solitario nei pressi del monte Kenya.  Luglio 2010, una donna romana di 63 viene attaccata ed uccisa da un branco di elefanti anni mentre prendeva parte insieme al marito ad un safari a piedi nel nord della Tanzania. 
Questi sono alcuni (ma la lista sarebbe ben più nutrita) degli eventi tragici che riguardano attacchi mortali sferrati da elefanti nei confronti di turisti. Non c’è una statistica sugli attacchi nei confronti delle popolazioni locali, ma l’elenco è sicuramente più lungo.
Gli elefanti sono animali apparentemente placidi e tranquilli, ma non c’è da scherzare con loro. Un amico che vive in Tanzania mi ha raccontato di quella volta al Mikumi National Park quando, attaccato da un elefante mentre si trovava al volante del suo fuoristrada, dovette abbandonare il mezzo mentre il pachiderma vi si abbatteva come una furia per poi assistere impotente alla sua distruzione e riduzione a lattina schiacciata. Questi animali possono oltrepassare il peso di sei tonnellate (come una decina circa di vacche da latte) e raggiungere una velocità di 40 km/h e non ho esitato a credere alla sua storia.
In realtà questi animali non attaccano mai senza un preciso motivo e sono certo che se si potesse conoscere con esattezza tutti i dettagli degli attacchi dei turisti sarebbe possibile comprendere gli errori o le leggerezze commessi da loro o da chi li guidava.
Ci sono regole da rispettare e segnali da riconoscere per interpretare il comportamento degli elefanti ed evitare una carica.
Prima di tutto in loro presenza è assolutamente indispensabile evitare gesti bruschi, fughe precipitose e rumori forti. Durante una cena all’aperto al parco Ruaha abbiamo ricevuto la visita di un elefante solitario che aveva fiutato odori a lui congeniali. Alcuni turisti sono scappati precipitosamente emettendo urla e imprecazioni ad alta voce, provocando segnali di agitazione da parte dell’imponente ospite. Noi che ci trovavamo proprio davanti all’elefante ci siamo immobilizzati e non abbiamo proferito parola. L’elefante non è dotato di una buona vista, e l’immobilità diventa un’ottima arma di difesa nei suoi confronti. Ha un olfatto invece eccezionale, ma eravamo circondati da bracieri accesi per cui eravamo perfettamente nascosti ai suoi sensi.
L’elefante si è avvicinato al barile che fungeva da bidone dell’immondizia, ha letteralmente spazzato via il suo contenuto gustandolo però con tutta la calma necessaria, e poi si è allontanato.
La fotografia testimonia il nostro incontro ravvicinato.
Durante il confronto con un elefante diventa decisivo conoscere alcuni dei sistemi che adotta per comunicare. La proboscide alzata, le grandi orecchie spalancate a ventaglio e le zampe anteriori che raspano il suolo indicano: “Vi avverto, allontanatevi che mi sto arrabbiando”. La proboscide invece abbassata ma rigida e la testa chinata preludono all’attacco.
La situazione potenzialmente più pericolosa in assoluto è quando una madre viene allontanata dal suo piccolo. Capita di attraversare in auto un branco di elefanti, magari a nostra insaputa trovandosi sparpagliati e nascosti dalla vegetazione da una parte e dall’altra della strada. Quando un veicolo si trova in questa circostanza è fondamentale cogliere al volo i segnali sonori e visivi che verranno lanciati ed indietreggiare immediatamente per lasciar ricongiungere il branco.
Purtroppo in diversi episodi tragici erano presenti guide esperte, il che fa supporre che anche conoscendo alla perfezione il comportamento di questi animali non ci si può sentire completamente al riparo da situazioni di rischio. Rimanere al riparo di un veicolo o di un edificio rimane la prevenzione migliore per osservarli in sicurezza.
Il meccanismo di funzionamento della memoria dell’elefante non è ancora del tutto chiaro, ma quel che certo è che questi longevi animali possiedono un’ottima memoria. Ogni anno in Africa vengono uccisi dagli esseri umani centinaia di questi animali, cifra che è ben lontana dai numeri dello sterminio perpetrato nel secolo scorso. Tuttavia è plausibile pensare che la maggioranza degli elefanti, nel corso della loro esistenza e delle enormi distanze percorse (percorrono ogni giorno oltre cinquanta chilometri), abbiano incontrato essere umani ostili, cacciatori o bracconieri, a piedi o sopra un veicolo, e abbiano fissato nella loro memoria che la nostra specie non gli è amica. Non si può nemmeno escludere che queste informazioni possano venire trasmesse alla prole mediante comportamenti o segnali emessi dagli adulti ai piccoli in presenza dell’uomo.
Altri segnali molto più intuitivi possono essere letti con facilità anche da ricercatori neofiti della fauna selvatica. Può capitare ad esempio di avvistare elefanti a cinque gambe. Non si tratta di mutazioni genetiche, bensì di reazioni di esemplari maschi al periodo dei calori delle femmine. 
M.L.

Nessun commento: