Finalmente,
di prua, apparve Unguja. Il gruppo comprendeva altre due isole più piccole,
Pemba e Latham, ma quando i marinai parlavano di Zanzibar, di solito si
riferivano a quell’isola. Era sormontata da una massiccia fortezza, costruita
con blocchi di corallo bianco scintillante che splendevano al sole come un
iceberg. I bastioni erano fitti di potenti cannoni. [...] Lo
specchio d’acqua era congestionato da una massa d’imbarcazioni munite di alberi
a prora e a poppa, ancorate in un disordine incredibile. Alcuni dei dhow oceanici erano grandi come la Seraph: appartenevano ai commercianti
giunti fin lì dall’India, da Muscat e dal mar Rosso. Non c’era modo tuttavia di
capire se fossero pirati: probabilmente lo erano tutti, se si presentava
l’occasione. […]
Passando
sotto la fortezza, ammainò i suoi colori in omaggio al rappresentante del
sultano, poi diede fondo al limite della gittata delle batterie di cannoni.
Aveva imparato da tempo a diffidare anche del più caloroso e aperto benvenuto
di quello staterello africano.
Non
appena furono ancorati, uno sciame di piccole imbarcazioni si fece avanti per
salutarli, offrendo merci per alimentare qualunque vizio o esigenza, dalle noci
di cocco verdi agli involti di foglie e fiori di bhang, che erano una droga, dai servizi sessuali di schiavetti e
schiavette dalla pelle scura agli aculei di porcospino pieni di polvere d’oro.
[…]