“Saranno i maccheroni, vi giuro, che uniranno l’Italia.” Non sappiamo se veramente Giuseppe Garibaldi, condottiero leggendario del Risorgimento che ha unificato gli stati della penisola italiana, pronunciò davvero queste parole, eppure esse testimoniano il ruolo centrale - spesso ossessivo – che il cibo ha sempre giocato nella cultura e società italiana.
L’Italia segna il suo centocinquantesimo anniversario come moderna nazione-stato il prossimo anno, ed il flusso di manifestazioni, trasmissioni, libri ed inserti di quotidiani e riviste che commemorano la ricorrenza è già in piena. Nulla potrà esprimere meglio “il sapore” di questo avvenimento dell’uscita prevista per il prossimo mese della nuova edizione di “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” di Pellegrino Artusi. Pubblicato per la prima volta nel 1881, il libro si posiziona come classico della letteratura e non semplicemente come libro di ricette.
Le liste di ingredienti e le indicazioni sulla loro combinazione sono frammiste ad affascinanti digressioni sulla storia, letteratura, mitologia classica, folklore, scienza e gossip. Ad esempio, la ricetta dell’Artusi per la preparazione dell’Arista (lonza di maiale arrosto) spiega che il suo nome deriva da un’espressione greca che significa “buono”, usata dai vescovi della chiesa ortodossa d’oriente per la preghiera recitata quando veniva servito il pasto durante il Concilio di Firenze nel sedicesimo secolo.
“L’arte di mangiar bene” non fu solo un omaggio al buon cibo; fu anche un atto di patriottismo. Artusi era un ricco mercante della seta proveniente dal nord della Romagna ed impiegò decenni compilando ricette da tutto il paese, contribuendo di fatto all’unificazione italiana. Il suo libro fu un trampolino di lancio per la versione fiorentina del dialetto toscano, in futuro la nuova lingua nazionale, che al tempo nessuno al di fuori di Firenze la parlasse. I dialetti regionali rimangono tuttavia forti anche al giorno d’oggi. Molte persone li preferiscono per la comunicazione quotidiana, ed un amico linguista stima che circa metà della popolazione parla ancora meglio il proprio dialetto che la lingua italiana ufficiale. E ciò avviene anche in cucina. Alcuni piatti, come gli spaghetti o la cotoletta di vitello alla milanese, sono divenuti parte del menu nazionale. Ma è difficile trovare qualcuno a Torino che a mangia le orecchiette alle cime di rapa oppure qualcuno in Sicilia che al ristorante ordina un risotto allo zafferano.
Non dovrebbe quindi sorprendere che, oltre un secolo e mezzo dopo che lo statista austriaco Klemens von Metternich definì l’Italia come una mera “espressione geografica”, l’unità d’Italia rimanga un lavoro in corso. Nelle elezioni locali dell’anno scorso oltre un quarto degli elettori ha votato in Veneto e Lombardia
Se la nazione ha un cuore, la via per raggiungerlo passa certamente attraverso lo stomaco. Secondo un recente sondaggio promosso da Coldiretti, circa la metà degli italiani pensa che l’aspetto più significativo dell’identità nazionale sia la cucina, davanti alla cultura, la moda ed il calcio. E’ significativo che anche gli insulti tra diverse regioni riconoscano un’origine legata al cibo: i settentrionali sono etichettati “polentoni” (mangiatori di polenta) mentre i meridionali “terroni” (mangiatori di terra).
Forse il declino del cibo cucinato in casa in Italia sta ispirando una nostalgia per il sempre più raro stile di vita tradizionale. Anche se non hanno più tempo per cucinare del buon cibo, gli italiani potranno almeno leggere come si prepara grazie all’applicazione Artusi presente su i-Phone e i-Pod.
M.L.
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