Il luogo comune che aleggia intorno allo Swahili è che si tratta di una lingua che accomuna tutti gli stati dell’Africa Orientale e che è in grado di portare stabilità all’intera regione. C’è chi suggerisce che nei futuribili “Stati Uniti d’Africa” lo Swahili dovrà necessariamente rappresentare la lingua ufficiale. La verità è che lo Swahili ha fallito nell’intento di rimanere fuori dalla politica. Ed è tutta colpa di Che Guevara… beh, più o meno.
Nel 1965 il rivoluzionario argentino adottò il termine Swahili per “tre”, tatu, per designare il suo grado gerarchico nell’esercito cubano. Questo avveniva nel corso dell’offensiva della guerriglia nello Zaire orientale contro l’allora presidente Joseph Mobutu. La missione del Che fallì, l’instabilità si radicò nella regione e i politici di Kinshasa delle regioni occidentali cominciarono ad associare lo Swahili alla ribellione. La vendetta si è compiuta quando un ribelle che parlava Swahili proveniente dall’Est di nome Laurent Kabila, rovesciò Mobutu, l’incontrastato campione Lingala, la lingua franca del paese. A Kabila succedette il figlio, Joseph, che non parlava Lingala, ed in virtù di questo ebbe una difficoltosa campagna presidenziale nel 2006: i critici lo etichettarono come straniero dal momento che dovette confidare su interpreti (inclusa la moglie) per vincere le elezioni […].
La situazione è comunque andata modificandosi negli ultimi anni registrando un aumento dell’uso dello Swahili in Congo, un paese con 66 milioni di abitanti e 220 gruppi etnici. Ciò è avvenuto anche grazie ad un diffuso sentimento di apatia nei confronti del gruppo dominante Lingala che hanno prosperato durante gli anni del colonialismo belga e del regno di Mobutu. La nuova costituzione introdotta nel Febbraio 2006 ha inserito lo Swahili insieme al Lingala, Tshiluba e Kikongo come una delle quattro lingue ufficiali nazionali della R.D. del Congo. In aggiunta a ciò, la recente riforma militare ha visto l’integrazione degli ex-ribelli di lingua Swahili nell’esercito regolare, il che ha posto termine al dominio del Lingala come linguaggio per l’addestramento militare […].
Inoltre, l’instabilità nella regione dei Grandi Laghi a partire dal 1990 ha portato un grande flusso di profughi di lingua Swahili provenienti dal Ruanda, Burundi ed Uganda fino al cuore del Congo […].
Tendenze simili sono state registrate in Ruanda, Burundi, Sud Sudan e Somalia dove gli esuli rientranti hanno portato con sé la lingua appresa nei campi profughi in Kenya e Tanzania.
In Uganda il governo si sta prodigando in uno sforzo per promuovere questa lingua, ma deve confrontarsi col fatto che lo Swahili rimane impopolare tra le generazioni più vecchie e tra i Baganda, l’influente tribù che associa lo Swahili con i passati abusi perpetrati dai militari. In particolare, l’espressione “panda gari!” (Sali sull’auto!) era comune ai tempi del Presidente Milton Obote e del dittatore Idi Amin negli anni ’70. Questa espressione veniva usata per intimare agli avversari politici (veri o presunti) di salire sui mezzi di sicurezza durante le brutali irruzioni. Chi salì su quei veicoli non fece più ritorno. Idi Amin decretò poi che lo Swahili doveva diventare l’unica lingua nazionale […] . Le cose non sono migliorate quando il Presidente Yoweri Museveni salì al potere con le armi nel 1986, aiutato da politici ed ufficiali che avevano studiato o erano stati esiliati in Tanzania, la patria spirituale dello Swahili.
Lo Swahili non riceve troppi complimenti nemmeno in Kenya, sebbene venga correntemente parlato da circa 20 milioni di persone. Nonostante sia una delle lingue nazionali (insieme all’inglese), tutta la corrispondenza ufficiale viene condotta in inglese. Inoltre l’elite culturale ed economica del paese riserva lo Swahili per le comunicazioni informali oppure per esigenze di campagne elettorali. Infatti alcuni accusano i politici di sostenere in modo puramente formale questa lingua, dal momento che tendono ad associarla comunemente con scarsi livelli di alfabetizzazione[…].
Ma quanto è pura la lingua Swahili? Questo linguaggio nacque circa 1000 anni fa in Africa Orientale .Il suo nome deriva dall’espressione araba “area costiera”, che è poi la zona dell’Africa Orientale dove risiede la maggior parte di coloro che parlano questa lingua. La parola “Swahili” verrà successivamente utilizzata per descrivere il linguaggio, la cultura e i popoli di questa regione. Come linguaggio esso deriva da un amalgama di Arabo, Persiano e Bantu e contiene termini prestati dal Portoghese, Tedesco e Inglese. I trafficanti arabi di schiavi hanno portato lo Swahili fino al cuore dell’Africa, dove i missionari europei l’hanno trovato e studiato finendo per pubblicare il primo dizionario Swahili - Inglese. Anche i colonialisti hanno successivamente adottato questa lingua principalmente per poter commerciare nelle zone più rurali del continente.
Lo Swahili viene parlato da interi popoli in Tanzania (32 milioni), Kenya (20 milioni), DR Congo (15 milioni), Uganda (8 milioni), Burundi (2 milioni), Ruanda (2 milioni), Malawi, Sudan, Somalia, Mozambico e Comore. Ma è realmente solo in Tanzania che lo Swahili si è diffuso e sviluppato. Non è solo riuscito ad unire un paese composto da 120 tribù, ma è anche diventato l’ingrediente principale dell’identità culturale e nazionale. La sua crescita va accreditata soprattutto al Presidente Julius Nyerere che ha reso lo Swahili nel 1962 unica lingua nazionale usandolo poi nei suoi villaggi collettivi chiamati ujamaa. L’esperimento socialista di Nyerere fu in definitiva un fallimento, ma portò alla nascita di uno fra i paesi etnicamente e politicamente più stabili di tutta l’Africa.
Post tratto dall’articolo “The Language Barrier” di Mathias Muindi pubblicato nel 2008 da BBC Focus on Africa
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