Tradizionalmente in Romagna, nel pieno dell'inverno, la famiglia contadina viveva un vero e proprio evento che coincideva con l'uccisione e la macellazione del maiale allevato nel corso dell'anno precedente. Questo avvenimento si svolgeva nel cortile del casolare e coinvolgeva tutti membri della famiglia allargata, spesso una dozzina di persone e più. La lavorazione della carne era un'operazione specificatamente affidata agli uomini, mentre donne e bambini svolgevano un ruolo di servizio e soprattutto preparavano la cucina e la tavola per la grande mangiata finale.
La famiglia viveva una vera e propria festa, visto che tutti quel giorno mangiavano carne e altri alimenti che raramente erano a disposizione nel corso dell'anno.
Opera di Franco Vignazia
Ci sono famiglie, purtroppo poche, per le quali questa tradizione resiste e che non si accontentano dei salumi industriali che si trovano nei supermercati.
La famiglia di mia moglie è una tra queste e mio suocero è uno tra i pochi artigiani della carne rimasti. Durante l'anno, da Gennaio a Dicembre, alleva il maiale in un vecchio fabbricato adiacente alla casa e a Gennaio, quando l'animale ha raggiunto un peso di oltre due quintali, organizza la festa del maiale.
Nel corso di un freddo mattino domenicale, a partire dall'alba, convergono al casolare il macellaio (camionista di professione) e tutta una pletora di personaggi interessati a vario livello all'avvenimento. C'è Guerrino il lattaio che fornisce i formaggi per il pranzo e che prende parte a tutte le fasi di lavorazione semplicemente perché si diverte, c'è Ivan l'industriale con il Porsche bianco che guarda soltanto ma che è interessato ad acquistare i salumi, c'è Maraldi che non si sa bene che lavoro faccia ma che porta vino e allegria (e spera sempre che ci scappi qualche salame), ci sono i parenti di Bologna venuti per assistere a questa strana manifestazione di civiltà contadina tradizionale. Da qualche anno partecipo anch'io alle operazioni, completamente rapito dalla maestria che porta a trasformare un maiale in una sconfinata gamma di alimenti di vario aspetto e sapore.
Dalla lavorazione del maiale si ottiene infatti una moltitudine di prodotti, e cioè tagli di carne (pancetta, costine, filetti, braciole), insaccati freschi (salsicce, salsicce matte), insaccati stagionati (prosciutti, salami, cotechini, coppe, coppe di testa, guanciale, lombetto), insaccati cotti (musotto) e prodotti ottenuti dalla lavorazione del grasso (ciccioli, strutto). E' quindi pienamente giustificato il detto secondo cui "del maiale non si butta via niente".
Mentre gli uomini sono occupati nello smembramento della carcassa bevendo vino e schiamazzando, le donne in cucina mantengono il fuoco acceso e preparano (sempre a mano) la pasta al ragù per il pranzo. All'una, quando tutti gli insaccati sono stati chiusi ed appesi nella cantina, i ciccioli sono stati scolati e strizzati, e mentre gli ingredienti del musotto stanno cuocendo nel calderone sul fuoco, ci si riunisce tutti nella sala da pranzo a consumare il pasto preparato dalle donne ed accompagnato da tutto ciò che i convenuti hanno portato.
Non so esattamente cosa renda questa tradizione così affascinante. Probabilmente si tratta di qualcosa di atavico, insito nella natura umana, per cui l'uomo diviene cacciatore per provvedere il nutrimento alla propria famiglia. Ma non è solo questo. E' anche qualcosa che distingue la cultura italiana da ogni altra cultura al mondo. E' la trasformazione, attraverso un procedimento permeato di gusto estetico ed artistico, di un elemento grezzo della natura (l'animale) in qualcosa di più nobile, destinato al soddisfacimento del bisogno di alimentarsi ma anche al bisogno tipicamente italiano di farlo nel miglior modo possibile.
M.L.
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