Non ho mai trovato sistema migliore per instaurare velocemente una relazione con un africano di una combattuta partita di calcio. Non c'è niente di meglio che mescolare sudore e fango per cancellare ogni problema di lingua, razza e religione.
Il mio primo impatto con il calcio africano non è stato però il massimo. Revel, Francia, torneo giovanile internazionale di calcio. Otto squadre, tra cui la mia, la magica Edelweiss. Si giocavano partite brevi di 45 minuti, e il match di esordio fu contro la rappresentativa under 16 delle isole Mauritius. Erano nostri pari età, ma erano mediamente alti circa venti centimetri in più. Fu un massacro. Conservo nitidamente il ricordo del calcio di inizio della partita, battuto direttamente calciando nella nostra porta e colpendo la traversa. Finì 4 a 0, ma credo che per loro fu soltanto una sgambata, mentre per noi fu una prova sovraumana. Alla fine del torneo loro si piazzarono secondi, noi ultimi.
Avvertii la stessa sensazione di strapotere fisico nelle successive esperienze in Zambia e Madagascar. In Zambia toccai a malapena il pallone, ma mi consolai al pensiero che lo Zambia è una tra le nazioni calcisticamente più forti dell'Africa. In Madagascar invece feci una discreta figura e addirittura segnai il gol del pareggio, forse perché i malgasci con cui giocai, seppur eccezionali corridori, erano gracilini di costituzione e praticavano un calcio decisamente alla mia portata.
Ma il vero punto di svolta del mio rapporto con il calcio africano avvenne in Tanzania. In due anni ebbi modo di comprendere appieno lo stile africano di giocare e soprattutto le tecniche affinchè un bianco medio possa inserirsi degnamente in una partita tra africani.
Durante la stagione secca giocavo costantemente tutte le settimane. Le partite erano frequentate da ragazzi di ogni età ed in numero variabile. Quando non si raggiungevano i ventidue giocatori, il campo veniva accorciato e una porta veniva sostituita da una porticina delimitata da due mattoni. La cosa più curiosa è che, mentre una squadra per segnare doveva logicamente far passare il pallone nella porticina di mattoni, l'altra doveva colpire o i pali o la traversa della porta grande. Lascio giudicare a voi cosa fosse più difficile.
Come ho detto, nel corso delle partite appresi la tecnica per giocare con ragazzi fisicamente più dotati di me. Gli africani in generale adottano il sistema di gioco "palle lunghe e pedalare", assolutamente improponibile per un atleta mediocre come me. Se sotto il profilo della corsa non c'era storia, sul piano tattico e tecnico potevo dire tranquillamente la mia. Per cui mi sistemavo nelle zone nevralgiche del campo e facevo gioco, abbandonando in partenza il confronto puramente agonistico per concentrarmi sullo smistamento della palla e le conclusioni in porta. Questo sistema si rivelò estremamente efficace, tanto che ben presto fui incluso nella rappresentativa del villaggio.
Per il villaggio di Bomalang'ombe fu una vera fortuna quella di avere un giocatore bianco tra le sue fila. Innanzitutto fornivo maglie e pallone, e poi il pick up dove caricavo tutta la squadra nelle trasferte negli altri villaggi. A pensarci bene, questi due aspetti potevano influire pesantemente sulla mia convocazione nelle partite tra villaggi…
Poi c'era anche il fattore del prestigio, e cioè che il Bomalang'ombe era l'unica squadra che poteva vantare un calciatore straniero!
Le partite tra villaggi venivano organizzate la domenica, ed erano eventi partecipatissimi e molto attesi da parte di tutti gli abitanti. Prima della partita venivano diffusi avvisi perché i tifosi accorressero numerosi, ed il risultato veniva commentato per giorni. Ad ogni partita si presentavano non meno di duecento persone, le quali incitavano, cantavano e ballavano per tutto il tempo. Un vero spettacolo. La mia presenza veniva accolta con curiosità, ed ogni mia caduta accompagnata da risa e grida. Non credo di avere mai provato così forte la sensazione di essere "diverso" come nelle partite della domenica. Ma imparai presto a fregarmene.
Le due partite che ricorderò per tutta la vita furono anche quelle in cui segnai. A prima fu in casa contro il Masisiwe. I giocatori del Masisiwe, per scaldarsi, vennero di corsa dal loro villaggio, che distava 15 km. Dopo la partita, sempre di corsa, vi fecero ritorno.
Segnai il gol del 2-0, e ricordo di essere impazzito per l'esultanza e di aver travolto alcuni bambini che guardavano la partita vicino alla porta. Andai ad abbracciare l'autista del progetto (tifoso sfegatato) e fui festeggiato da tutta la squadra. Per settimane si parlò del primo bianco ad aver segnato in una partita tra villaggi.
La seconda partita memorabile fu contro l'acerrimo rivale, il Mwatasi, giocando fuori casa. Come sempre fu un match molto combattuto e l'arbitro molto contestato. Segnai il gol del 2-1, ma la palla, dopo essere entrata, colpì un tifoso che si trovava dietro la porta e ritornò in campo. Noi esultammo, ma l'arbitro fu ingannato da questo rimbalzo e annullò il gol. A questo punto si scatenò un'immensa rissa (evento estremamente frequente) e noi abbandonammo indignati il campo. Lungo tutta la strada del ritorno, i giocatori assiepati nel cassone del pick cantavano orgogliosamente la frase "I nostri giocatori arrivano dall'Europa!". Un vero momento magico.
M.L.
Avvertii la stessa sensazione di strapotere fisico nelle successive esperienze in Zambia e Madagascar. In Zambia toccai a malapena il pallone, ma mi consolai al pensiero che lo Zambia è una tra le nazioni calcisticamente più forti dell'Africa. In Madagascar invece feci una discreta figura e addirittura segnai il gol del pareggio, forse perché i malgasci con cui giocai, seppur eccezionali corridori, erano gracilini di costituzione e praticavano un calcio decisamente alla mia portata.
Ma il vero punto di svolta del mio rapporto con il calcio africano avvenne in Tanzania. In due anni ebbi modo di comprendere appieno lo stile africano di giocare e soprattutto le tecniche affinchè un bianco medio possa inserirsi degnamente in una partita tra africani.
Durante la stagione secca giocavo costantemente tutte le settimane. Le partite erano frequentate da ragazzi di ogni età ed in numero variabile. Quando non si raggiungevano i ventidue giocatori, il campo veniva accorciato e una porta veniva sostituita da una porticina delimitata da due mattoni. La cosa più curiosa è che, mentre una squadra per segnare doveva logicamente far passare il pallone nella porticina di mattoni, l'altra doveva colpire o i pali o la traversa della porta grande. Lascio giudicare a voi cosa fosse più difficile.
Come ho detto, nel corso delle partite appresi la tecnica per giocare con ragazzi fisicamente più dotati di me. Gli africani in generale adottano il sistema di gioco "palle lunghe e pedalare", assolutamente improponibile per un atleta mediocre come me. Se sotto il profilo della corsa non c'era storia, sul piano tattico e tecnico potevo dire tranquillamente la mia. Per cui mi sistemavo nelle zone nevralgiche del campo e facevo gioco, abbandonando in partenza il confronto puramente agonistico per concentrarmi sullo smistamento della palla e le conclusioni in porta. Questo sistema si rivelò estremamente efficace, tanto che ben presto fui incluso nella rappresentativa del villaggio.
Per il villaggio di Bomalang'ombe fu una vera fortuna quella di avere un giocatore bianco tra le sue fila. Innanzitutto fornivo maglie e pallone, e poi il pick up dove caricavo tutta la squadra nelle trasferte negli altri villaggi. A pensarci bene, questi due aspetti potevano influire pesantemente sulla mia convocazione nelle partite tra villaggi…
Poi c'era anche il fattore del prestigio, e cioè che il Bomalang'ombe era l'unica squadra che poteva vantare un calciatore straniero!
Le partite tra villaggi venivano organizzate la domenica, ed erano eventi partecipatissimi e molto attesi da parte di tutti gli abitanti. Prima della partita venivano diffusi avvisi perché i tifosi accorressero numerosi, ed il risultato veniva commentato per giorni. Ad ogni partita si presentavano non meno di duecento persone, le quali incitavano, cantavano e ballavano per tutto il tempo. Un vero spettacolo. La mia presenza veniva accolta con curiosità, ed ogni mia caduta accompagnata da risa e grida. Non credo di avere mai provato così forte la sensazione di essere "diverso" come nelle partite della domenica. Ma imparai presto a fregarmene.
Le due partite che ricorderò per tutta la vita furono anche quelle in cui segnai. A prima fu in casa contro il Masisiwe. I giocatori del Masisiwe, per scaldarsi, vennero di corsa dal loro villaggio, che distava 15 km. Dopo la partita, sempre di corsa, vi fecero ritorno.
Segnai il gol del 2-0, e ricordo di essere impazzito per l'esultanza e di aver travolto alcuni bambini che guardavano la partita vicino alla porta. Andai ad abbracciare l'autista del progetto (tifoso sfegatato) e fui festeggiato da tutta la squadra. Per settimane si parlò del primo bianco ad aver segnato in una partita tra villaggi.
La seconda partita memorabile fu contro l'acerrimo rivale, il Mwatasi, giocando fuori casa. Come sempre fu un match molto combattuto e l'arbitro molto contestato. Segnai il gol del 2-1, ma la palla, dopo essere entrata, colpì un tifoso che si trovava dietro la porta e ritornò in campo. Noi esultammo, ma l'arbitro fu ingannato da questo rimbalzo e annullò il gol. A questo punto si scatenò un'immensa rissa (evento estremamente frequente) e noi abbandonammo indignati il campo. Lungo tutta la strada del ritorno, i giocatori assiepati nel cassone del pick cantavano orgogliosamente la frase "I nostri giocatori arrivano dall'Europa!". Un vero momento magico.
M.L.
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