Quando capii in che parte dell'Africa ero capitato a trascorrere i miei due anni di servizio, c'era un aspetto che non mi andava proprio giù. L'immaginazione aveva solidamente costruito un paesaggio fatto di acacie, grandi mammiferi africani, caldo e frutta tropicale. La natura esercita in me un fascino irresistibile, e quella che ero andato a cercare aveva dei contorni ben definiti.
Risultato: mi trovavo a 2000 metri di altezza, il clima era terribilmente freddo, l'albero più diffuso era il pino canadese e mangiavo pesche e pere. Ma soprattutto di fauna africana non ce n'era nemmeno l'ombra. Se non ci fossero state le capanne e la terra rossa il resto del paesaggio sarebbe stato assolutamente identico a quello dell'appennino tosco-romagnolo.
In un paio d'ore d'auto si scendeva di quota e la natura corrispondeva effettivamente a quella che avevo immaginato, ma non era lì che abitavo.
Chiaramente questo disappunto non poteva in alcun modo minare l'esperienza che avevo il privilegio di vivere, però una puntina di amarognolo rimaneva nel profondo.
Questo finché non capitò nel villaggio un erpetologo di Harvard, il quale ci chiese ospitalità per il tempo necessario a svolgere le sue ricerche.
Costui si chiamava Luke Mahler (http://www.oeb.harvard.edu/faculty/losos/mahler/) ed il suo arrivo fu accompagnato da un profondo sentimento di curiosità: cosa poteva cercare un naturalista americano in un luogo come questo? Fu lui a darci la risposta: camaleonti.
Molto timidamente gli facemmo notare che in sei mesi di permanenza non ne avevamo visto nemmeno uno. Ma lui ci rispose che non sapevamo cercarli, e che quella notte stessa ce li avrebbe mostrati. Di notte?!?
Luke era pratico di quel tipo di ricerche e andò immediatamente a presentarsi al capo villaggio per spiegare il motivo della sua presenza e per chiedere il permesso di aggirarsi di notte a raccogliere camaleonti. I permessi furono concessi, e non appena si sparse la notizia che un mzungu (bianco) cercava vinyonga (camaleonti), iniziò un'ininterrotta processione a casa nostra da parte di persone intenzionate a vendere i camaleonti che avevano catturato per l'occasione. Fra queste persone c'erano anche alcuni nostri dipendenti.
Noi rimanemmo sbalorditi per due motivi: il primo era che il giorno prima non sapevamo neanche che questi animali fossero presenti in così gran numero nei dintorni di casa, il secondo era che il camaleonte è un animale porta-sfortuna per la cultura locale, e la gente ne è del tutto terrorizzata. Ma pochi spiccioli si erano dimostrati più potenti delle ataviche credenze…
La notte, come anticipato, uscimmo con Luke alla ricerca di camaleonti. Fu nel corso di quella camminata notturna (a cui ne seguirono numerose altre) che Luke ci spiegò che il nostro villaggio sorgeva in una delle aree naturalisticamente più interessanti dell'Africa intera. Non c'erano leoni ed elefanti, ma quelli non sono animali rari per l'Africa. Invece in quella zona, proprio per le sue caratteristiche di isolamento ecologico e climatico rispetto alle aree circostanti, si erano evolute molte specie del tutto singolari e uniche, soprattutto all'interno delle classi dei rettili e degli anfibi. In particolare, era una delle poche zone dove si potevano trovare contemporaneamente tre rare specie di camaleonti poco descritte dal mondo scientifico, ovvero il Chamaeleo werneri, il Chamaeleo tempeli ed il Chamaeleo goetzi.
Il miglior modo per scovare i camaleonti, virtualmente invisibili di giorno, era quello di cercarli di notte alla luce delle torce elettriche. Magicamente la boscaglia si popolava di sagome bianche appese ai fusti delle piante ed ai rami degli alberi. Si potevano riconoscere forme adulte e forme giovanili, maschi e femmine.
Il "Safari dei Camaleonti" divenne la principale attrazione turistica da sottoporre ai visitatori del nostro progetto, e nel corso delle numerose uscite notturne avevamo imparato che il loro numero variava in funzione della stagione e che le tre specie vivevano in habitat completamente diversi: il Goetz si poteva trovare aggrappato verticalmente alle canne ed alle piante erbacee che crescevano nell'acqua di stagni e paludi, il Tempel amava dormire sulla punta dei rami dei pini, mentre il "cornuto" Werner si nascondeva nel folto degli alberi ed era quello più difficile da trovare.
Provammo anche ad allevarne uno in cattività, il che ci costrinse a catturare per lui insetti vivi e a studiare le disposizioni migliori per favorire la sua biologia. Questo camaleonte, forse reo di non rappresentare alcun interesse economico, riaccese tutte le superstizioni sopite e dovevamo stare molto attenti a non mettere il suo terrario improvvisato nelle vicinanze della cuoca, che altrimenti si rifiutava di lavorare. Il povero Brian però ci lasciò durante una notte tempestosa, quando dimenticammo la bacinella che lo accoglieva sotto al diluvio ed alle intemperie. Sei stato un buon compagno Brian.
Il Rifugio Sassello (N 43°54'38.0"; E 11°42'24.3") è un luogo fuori dal tempo e dall'incredibile fascino che si trova all'interno del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi.
La gestione di questo rifugio è affidata alla Comunità Montana della Montagna Fiorentina, ma i veri protagonisti della sua storia straordinaria sono gli escursionisti, che vi hanno libero accesso e che vi possono trovare tutto l'essenziale. Il principio basilare a cui attenersi quando si visita il Sassello è che bisogna lasciarlo sempre un po’ meglio di come lo si è trovato. Se si utilizzano delle provviste, è bene sostituirle con le proprie. Si può sempre rifornire la legnaia, pulire le pentole che vengono utilizzate e portare via i propri rifiuti ma anche quelli che dovessero essere stati abbandonati da precedenti visitatori poco civili. Ciò che veramente colpisce di questo rifugio è che è un'oasi di pace e tranquillità accessibile a tutti, completamente gratuita ed attrezzata di tutto punto. Pentole, stoviglie, provviste, fiammiferi, legna, coperte, materassini e addirittura chitarre ed una sdraio.
Tutti quelli che lo visitano rimangono colpiti da questo microcosmo di civiltà circondato da una natura grandiosa; molti ragazzi sono diventati dei veri e propri volontari del Sassello, provvedendo alle piccole manutenzioni necessarie ed a mantenerlo sempre in ordine.
Il Rifugio è un ambiente unico separato da un soppalco in legno che divide un piano superiore per la notte da un piano terra destinato a cucina e sala da pranzo. All'interno non ci sono servizi igienici (per quelli c'è il bosco) né acqua. Per quasi tutto l'anno a poche decine di metri sul sentiero principale c'è una fonte di acqua freschissima che si può bere, adoperare per cucinare e per lavarsi. Durante i mesi caldi questa fonte può essere secca, ma c'è un altro punto dove rifornirsi al limitare della foresta che si trova sopra il rifugio oppure a poca distanza presso una vasca di abbeverata per i bovini al pascolo (N 43°54'45.8" E 11°42'16.3").
Il cuore del Sassello è il suo caminetto: qui si cucinano la carne e la polenta, si arrostisce il pane, alla sua luce si trascorrono le serate ed il suo crepitare è l'unico suono che interrompe il silenzio assoluto che domina la notte.
All'interno del Rifugio c'è un quaderno dove tutti coloro che passano annotano impressioni e commenti; dalle date riportate si evince facilmente che il Sassello è tutt'altro che un luogo molto frequentato!
Il panorama è stupendo: la foresta di faggi ed altre latifoglie ricopre completamente le valli che si intersecano a formare un paesaggio maestoso ed incontaminato. Questa foresta millenaria è una delle foreste primarie più grandi d'Europa e si estende a cavallo tra la Romagna e la Toscana. Trascorrere un weekend al Sassello consente di astrarsi dalla frenetica vita quotidiana calandosi nel lento ritmo della natura e delle stagioni, avvistando animali selvatici e partecipando del costante mutare dei colori della foresta. Questo luogo trasmette una serenità incredibile, e non sorprende che in queste zone si trovino due centri della spiritualità medievale come l'Eremo di Camaldoli ed il Santurio della Verna.
Per raggiungerlo a piedi ci sono diverse possibilità. Si può lasciare l'auto al valico dei Tre Faggi, un passo ben segnalato a circa 45 minuti di macchina da Predappio e 30 minuti da Premilcuore lungo la strada che porta a Firenze.
Dal valico dei Tre Faggi partono due sentieri. Il primo, sulla sinistra, si inoltra all'interno della foresta ed è da percorrere per circa mezz'ora fino all'imbocco di una scorciatoia (N 43°55'38.0"; E 11°41'42.7") che scende a destra dritta per dritta ed attraversa alcuni pascoli. La scorciatoia termina vicino ad una stalla e su una strada carrabile da prendere verso sinistra (a destra si torna ai Tre Faggi) e che porta fino al Sassello. Questa via è consigliata per l'andata, dato che è più breve ed il tratto ripido attraverso i pascoli è in discesa.
La seconda possibilità è quella di imboccare al parcheggio la strada carrabile sulla destra e percorrerla per circa 20-25 minuti fino ad incontrare, sulla sinistra, un'altra strada carrabile chiusa da una sbarra di metallo. Questa strada porta direttamente al Sassello ed è la stessa su cui termina la scorciatoia attraverso i pascoli. Questa seconda opzione è più lunga ma affronta dislivelli più graduali, per cui è consigliata per il ritorno. Si può considerare un tempo di percorrenza medio di circa due ore.