Ireneo Kahise nacque a Masisiwe, un piccolissimo villaggio sui monti della Tanzania meridionale. Dopo le scuole primarie, a tredici anni, iniziò a lavorare nei campi e a quattordici anni era già indipendente, vivendo in una capanna propria e provvedendo autonomamente ai propri bisogni. Fin da bambino dimostrò sempre un forte senso religioso, e questa propensione lo portò, all'età di diciotto anni, ad iscriversi alla scuola per catechisti di Makalala. La scuola di catechisti di Makalala è una scuola triennale a tempo pieno, in cui gli studenti vengono istruiti alla vita cristiana di preghiera ed all'insegnamento della religione.
Al termine degli studi si trasferì a Lupilo, che si trova vicino al suo villaggio natale. Qui divenne subito il catechista del villaggio ed un vero e proprio punto di riferimento per tutta la comunità. Dopo quattro anni di attività come catechista, Ireneo mise incinta Josepha, la figlia di Mgudule.
Mgudule era un mercante e la persona più ricca del villaggio di Lupilo, tanto che possedeva persino un'auto. Mgudule era un ottimo affarista, pagava sempre i suoi debiti (qualità rara da queste parti), ed in virtù di questo beneficiava di tanti prestiti che sapeva mettere a frutto. Mgudule aveva quattro mogli e ventisette figli; era una persona molto legata alla religione tradizionale della sua tribù, basata sul culto degli spiriti e sulla stregoneria. Nei confronti dei suoi figli era stato un padre molto rigido e avaro, e non aveva concesso loro nulla della propria ricchezza. Per questo i suoi figli lo derubarono diverse volte, e tre di loro finirono in prigione dopo essere stati denunciati dal loro stesso padre. Gli altri figli lo avevano abbandonato, ad eccezione di Josepha, la sua prediletta.
Josepha era l'unica della sua famiglia che gli era sempre rimasta vicina, e per ricompensarla della sua fedeltà Mgudule le concesse di iscriversi alla scuola secondaria.
Al termine del terzo anno di studio, come già anticipato, Josepha rimase incinta di Ireneo. Questo avvenimento causò l'allontanamento di Josepha dalla scuola (ciò è previsto dalla legge tanzaniana) e la sospensione di Ireneo dall'attività di catechista.
Dopo la nascita del bambino, Josepha e Ireneo si sposarono, ed Ireneo potè tornare alla sua occupazione precedente.
Purtroppo il bambino, dopo un mese di vita, morì.
Secondo la religione tradizionale, la morte non avviene mai per cause naturali ma è sempre il risultato di vendette, invidie o maledizioni che cadono sulla famiglia. Secondo questa credenza tutta la vita è regolata da un sistema rigido di precetti, tabù e punizioni. Qualsiasi disobbedienza viene pagata con minacce di morte e di malattia. E' una religione basata sulla paura; non prevede il perdono, tutto ciò che accade deve essere addebitato a qualcuno che dovrà pagare per aver provocato la disgrazia.
Ireneo era un cristiano molto credente, un fermo oppositore delle pratiche religiose tradizionali, e nonostante le pressioni del suocero, Ireneo si rifiutò di consultare lo stregone in merito ai motivi che avrebbero causato la morte del figlio.
Nel frattempo la salute di Josepha iniziò a peggiorare e dovette smettere di aiutare Ireneo nei lavori dei campi e nelle faccende domestiche.
Dopo qualche tempo nacque Josè, il loro secondo figlio. Il suocero, Mgudule, era molto contento perché in quel periodo aveva già perso tre nipoti, e la nascita di Josè veniva interpretata come il segnale che la maledizione che era calata sulla sua famiglia si era esaurita. Il bambino all'inizio stava bene, ma dopo qualche tempo la sua salute iniziò progressivamente a peggiorare, così come quella di Josepha.
All'età di sei mesi Josè, il secondo figlio di Josepha e Ireneo, morì.
Ancora una volta Ireneo si trovò a dover sopportare, oltre al dolore per perdita di un figlio, le pressioni della famiglia e degli amici che lo intimavano di rivolgersi allo stregone, ma lui seppe resistere con coraggio e fermezza.
La morte del secondo figlio fu per la famiglia di Ireneo un colpo durissimo; Josepha tornò a vivere con i propri genitori mentre Ireneo decise di abbandonare la sua vita in quei luoghi per recarsi in città, ad Iringa, a cercare un lavoro che gli permettesse di cambiare aria, perché quella che si respirava a casa sua cominciava ad essere troppo pesante per lui.
Dopo sei mesi Ireneo fece ritorno nel suo villaggio, Lupilo. Il periodo trascorso ad Iringa gli donò nuovo vigore e la sua fede cristiana ne uscì rafforzata. Egli quindi riprese la sua attività di catechista.
Poi, improvvisamente, da un momento all'altro, in un giorno del mese di Giugno, Ireneo rimase cieco. In precedenza non aveva avvertito nessun sintomo particolare che lasciasse presagire ciò che gli sarebbe capitato, se non un po’ di spossatezza; aveva semplicemente cessato di vedere.
Gli abitanti di Lupilo e dei villaggi limitrofi erano tutti della stessa opinione: Ireneo era stato maledetto.
Aiutato dai padri della missione di Ng'ingula, Ireneo si trasferì nuovamente ad Iringa, dove iniziò a sottoporsi ad alcune cure per recuperare la vista.
Dopo tre mesi di cure, Ireneo tornò nel suo villaggio. Aveva recuperato la vista, ma in compenso aveva perso la fede. Ad Iringa era stato avvicinato da membri di una setta pentecostale che lo avevano abbindolato finendo per fargli credere che il recupero della vista era stato un miracolo e che erano state le loro preghiere a guarirlo.
Per tutta la comunità cristiana fu uno shock tremendo. Ireneo, il loro punto di riferimento, colui che aveva dimostrato tanta coerenza nel rigettare la stregoneria, li aveva abbandonati.
Le cose per Ireneo cominciarono, se possibile, a peggiorare ulteriormente. La setta prosciugò Ireneo e la sua famiglia di tutto il denaro, e per pagare gli oboli dovuti vendettero tutti i loro averi ed iniziarono a chiedere l'elemosina.
Josepha, nel frattempo, si aggravò ulteriormente e fu seppellita da Ireneo poco tempo dopo.
L'infermiera del dispensario di Lupilo che aveva in cura Josepha, rivelò ai padri della missione che Josepha era morta di AIDS, malattia contratta ai tempi della scuola secondaria, dove Josepha si prostituiva regolarmente per acquistare olio, sapone e vestiti, dato che l'avaro padre Mgudule non le concedeva neanche un soldo per pagarsi ciò di cui aveva bisogno.
La maledizione che uccise i due figli, la moglie e provocò tutte le disgrazie di Ireneo si chiamava AIDS, ed Ireneo ne era infetto.
Questa interminabile serie di prove a cui fu sottoposto, provocarono una regressione nella salute mentale di Ireneo. Dapprima smise di parlare Kiswahili, la lingua della Tanzania, a favore del Kihehe, il dialetto tribale. Infine uscì completamente di senno, divenendo uno squilibrato.
Oggi Ireneo è conosciuto da tutti come il matto del villaggio di Lupilo.
(Questa storia ci è stata raccontata da Padre Moises Facchini, della missione della Consolata di Ng'ingula)
M.L.